Maus. Auschwitz, e dopo Auschwitz

Tempo di lettura: 22 minuti

Il graphic novel di Art Spiegelman

Maus. Auschwitz, e dopo Auschwitz. Questa storia si svolge in Polonia, tra Czetstokowa e Katowice, e poi a Stoccolma, e a New York, nel Queens a Rego Park. Il figlio di due ebrei polacchi, sopravvissuti alla Shoah ed emigrati a New York, racconta la storia dei suoi genitori, e faticosamente, dolorosamente scopre perché anche la sua vita, iniziata dopo quei fatti terribili e lontano da quei luoghi di morte, è tuttavia una vita segnata dal trauma della Shoah.

Shoah è la parola ebraica che nomina uno degli atti di violenza più orribili della storia umana. L’assassinio sistematico di milioni di ebrei e di altri gruppi minoritari in Europa da parte del regime nazista ha lasciato un segno profondo e duraturo nella memoria collettiva del mondo. Il 27 gennaio 1945 il lager di Auschwitz fu liberato dall’Armata Rossa. Per questo dal 2005 per una risoluzione delle Nazioni Unite, il 27 gennaio è “giorno della memoria”, giornata internazionale dedicata alla vittime della Shoah.

Alla fine della guerra lo sdegno esploso al momento della liberazione dei lager contribuì a rafforzare gli Alleati nel proposito di processare in un tribunale internazionale il regime di Hitler. Nel 1945/46 il processo di Norimberga giudicò e condannò i più alti esponenti nazisti. I conti sembrarono chiusi, le sofferenze ormai alle spalle. Negli anni immediatamente successivi alla guerra il tema della Shoah scomparve dal dibattito pubblico. Chi prestava attenzione ai sopravvissuti dei lager? Alcuni tra i superstiti parlarono, ma avvenne proprio ciò che avevano sognato nei loro incubi di prigionieri: tornare mangiare raccontare, e non essere creduti. L’enormità di quanto successo proteggeva i colpevoli, e nello stesso tempo spingeva i superstiti alla rimozione. La rielaborazione di quei fatti atroci esigeva tempo.

Finché nel 1961, quindici anni dopo Norimberga, con il processo di Gerusalemme ad Adolf Eichmann, l’interesse per la Shoah si risveglia vivissimo. Nel 1965 il processo di Auschwitz a Francoforte fa emergere non solo la bruttura dei lager come luoghi di repressione della libertà politica, ma l’abominio dei lager come luoghi dello sterminio del popolo ebraico e di altre minoranze etniche. Dalla metà degli anni Sessanta la ricerca storica documenta i fatti in modo sempre più preciso, i testimoni raccontano sempre più numerosi: il tempo della rimozione è finito, è iniziato il tempo della rielaborazione.

Art Spiegelman scrive all’inizio degli anni Settanta un primo racconto a fumetti sulla vicenda dei suoi genitori. Lavora altri dieci anni, dal 1980 al 1991 per pubblicare Maus su Raw, una rivista da lui stesso fondata, a puntate. Le raccoglie infine in due albi, pubblicati rispettivamente nel 1986 e nel 1991. Nel 1992 Maus è il primo, e unico finora, graphic novel insignito del premio Pulitzer. La traduzione italiana per MilanoLibri data 1989 per la prima parte (Mio padre sanguina storia) e 1992 per la seconda parte (E qui sono cominciati i miei guai ).

Art Spiegelman scopre attraverso il racconto di suo padre le vicende mostruose cui i suoi genitori sono scampati, scopre come e perché, a differenza di tutti gli altri, compagni di scuola amici colleghi, è l’unico a non avere nonni, zii, cugini, a non averne nemmeno le fotografie. Ed è l’unico ad avere una fratello maggiore, mai conosciuto. La sua famiglia è stata assassinata, tutta. E non in luoghi remoti, ma in Europa. E non nel lontano passato, ma pochi anni prima della sua nascita.

Attraverso il racconto del padre, Art Spiegelman ricostruisce non solo i fatti, atroci, vissuti dai suoi, ma anche la pena senza fine che quel trauma ha generato. Il veleno di Aushwitz circola nelle vene di Vladek e Anja, e del loro secondo figlio, Art che, nato nel 1948, in Svezia, dopo e lontano da quegli eventi luttuosi, è tuttavia sovrastato dall’ombra di suo fratello maggiore, Richieu, che alla guerra non sopravvisse.

Il commento a Maus conclude l’analisi del graphic novel che ItalianaContemporanea ha prodotto per DeltaScienceTutoring.com. Ogni puntata ha esaminato differenti tipi di graphic novel: quelli di divulgazione scientifica (Erwyn e la pulce fotonicaNeurocomic), e quello vicino al reportage giornalistico No Sleep Till Shengal. Infine il graphic novel che sviluppa un racconto autobiografico (Persepolis e Maus).

Una densa ouverture

La prima tavola di Maus presenta subito al lettore i tratti distintivi di questo racconto. In questa prima tavola, le sei vignette hanno didascalie, ben quattro, e dialoghi che contengono già i temi che saranno poi sviluppati.

Maus-Ouverture

La prima didascalia presenta già un tema, forse il tema, di tutto il racconto: «Non eravamo molto uniti». Una sobria litote per dire il conflitto duro e doloroso tra padre e figlio, tra Vladek e Art, durato tutta la vita.

La seconda didascalia dice di Anja, la madre di Art e moglie di Vladek, che si è suicidata.

La terza didascalia presenta Mala, la seconda moglie di Vladek. Attraverso di lei emerge il passato drammatico cui tutti loro sono «sopravvissuti».

La quarta chiude la pagina: Mala e Vladek «non andavano molto d’accordo». Anche qui lo stile è quello di un’asciutta constatazione

Vladek

Nel dialogo di questa prima tavola già emerge la spigolosità intollerante di Vladek: la sua insofferenza qui è verso Mala, ma presto il lettore comprende che l’irritazione di Vladek investe soprattutto suo figlio. Un gesto, anche il più banale, qui la gruccia che Mala porge per il cappotto di Art, spazientisce Vladek, sempre pronto a rimproverare sia Mala che Art di incapacità. Analogo è l’episodio del cappotto di Art che Vladek butta nella spazzatura, perché, dice, è troppo vecchio e sciupato e pretende che il figlio indossi una sua vecchia giacca in similpelle. Il figlio sconsolato non riesce a credere che suo padre ancora abbia un tale comportamento, come fosse costretto a ripetere.

In realtà il carattere di Vladek è molto complesso, perché Art si propone di darne un ritratto «accurato» (pag.130). Cioè una rappresentazione capace di raccontare le sue qualità migliori, che risiedono nel suo solido senso pratico, nella duttilità di adattamento, ma anche i suoi difetti: è egocentrico, è autoritario, è avaro, e persino razzista!

Di Vladek, fin da questa prima tavola, è da notare anche il modo di parlare: «Tu dai lui». In realtà Vladek nell’originale americano si esprime in un inglese ricalcato sulla struttura polacca, colorita dal lessico yiddish, la lingua parlata dagli ebrei dell’Europa orientale. La traduzione italiana di Cristina Previtali ha cercato di rendere questo modo di parlare, molto espressivo proprio perché le sue sgrammaticature, secondo la traduttrice, «trasmettono l’essenza del personaggio e la gamma di emozioni che scaturiscono dal racconto della sua vita» (pag. 4).

Topi e altri animali

L’altra significativa caratteristica di questa prima tavola è che i personaggi sono topi. Tutti i personaggi del racconto sono animali. Topi gli ebrei, gatti i tedeschi, maiali i polacchi, cani gli americani, rane i francesi … Un’antica e illustre tradizione letteraria rappresenta il mondo umano attraverso gli animali, dalla favola di Esopo e Fedro, fino al signor de La Fontaine e a George Orwell. I personaggi di Maus sono topi, come quelli di Walt Disney. Ma, topi a parte, del mondo Disney non c’è altro:  non c’è l’allegria, non c’è l’innocenza o, se preferite, non c’è l’ipocrisia! 

Quando affronta la scrittura di Maus alla fine degli anni 70, Art Spiegelman è un disegnatore di fumetti underground. Il fumetto è una forma narrativa che la tradizione letteraria ancora negli anni Sessanta dubita di poter considerare propria, perché il fumetto è un genere narrativo che unisce la parola al disegno e al disegno assegna il ruolo dominante. Spiegelman è anche un fumettista underground, cioè uno di quei giovani artisti americani degli anni Sessanta e Settanta che contestano il fumetto alla Disney, ne sperimentano nuove forme e pubblicano su canali alternativi, come la rivista Raw.

Il fumetto è dunque per Art Spiegelman il suo modo di raccontare. È la forma narrativa di quello che per lui è anzitutto un dramma di famiglia, ricostruito sulla memoria del padre e sul silenzio della madre, suicida senza parole nel 1968. Ci pensa a lungo, ci lavora a lungo. Il soggetto del suo racconto è vero, non è invenzione, i fatti narrati sono realmente accaduti, ma Art Spiegelman, il fumettista underground, sta deliberatamente lontano dalle forme del realismo. La vicenda narrata è vera, ma così mostruosa da essere incomprensibile ai più. Come fa notare Anja in Maus, quando tenta di raccontare Auschwitz e il dopo Auschwitz a suo fratello.

In America Anja aveva un fratello, Hermann, l’unico sopravvissuto della sua famiglia, perché allo scoppio della guerra era in America per una fiera con sua moglie Helen. Quando Anja cercava di raccontare loro la fame patita, (la fame del lager, dopo mesi e mesi di ghetto, dopo il treno senza cibo né acqua) Herman e Helen paragonavano a questa la penuria di cibo in America durante la guerra. «I miei zii non avevano idea dell’enormità di quello che era accaduto». (Art Spiegelman, Metamaus, pag.14).

Il problema arduo che tutti gli scrittori della Shoah affrontano è quello di rendere accessibile ai lettori un mondo inaccessibile, perché o l’orrore li travolge o non si rendono conto dell’enormità di quei fatti. Dunque, come dire l’indicibile? Come raccontare l’irraccontabile?

La ricerca espressiva di Spiegelman lo porta alla scelta del disegno caricaturale in bianco e nero. I personaggi animali ne sono l’espressione più riuscita. Lo spirito caricaturale del disegno crea distanza dall’orrore che altrimenti sarebbe insopportabile. Rende così possibile dire l’indicibile, controllandone la carica emotiva, senza sterilizzarla e banalizzarla.

Dice Art Spiegelman: «Sono cresciuto con frammenti di informazioni […] mio padre si svegliava spesso urlando… E non avevo un contesto per tutto questo. […] Per capire, per ricordare, ho dovuto metterlo in ordine cronologico, prendere queste immagini da incubo e metterle in piccole scatole, in modo da contenere e capire in modo sicuro ciò che la mia famiglia aveva passato» (video su YouTube)

«Nessuno vuole sentire quelle storie», dice Vladek. Ma Art ribatte: «Ma io sì». Un’oscura consapevolezza anima la sua ricerca, la sua volontà di sapere. È il sentimento che la sofferenza dei suoi si è riverberata in qualche modo anche sulla sua vita e ne determina il dolore.

Passato e presente

Auschwitz e dopo Auschwitz, perché il racconto di Maus si muove incessantemente tra ieri e oggi, tra passato e presente. Ma i piani temporali non sono solo due. C’è il passato di prima della guerra, c’è il passato del richiamo alle armi, della prigioniae della liberazione come soldato polacco, c’è la persecuzione nazista prima della “risoluzione finale” e c’è Auschwitz, c’è la marcia di evacuazione da Auschwitz a Dachau, c’è infine il campo americano e il ritorno a Sosnowiec. Anche il presente non è uno solo. C’è il tempo del racconto di Vladek nella sua casa di Rego Park a New York, e c’è il tempo in cui Vladek è ormai morto e suo figlio pubblica Maus, che ottiene un grande successo perché Auschwitz suscita grande interesserei pubblico. Eppure il conflitto col padre non si risolve. È il dolore a tenere legati insieme questi piani temporali.

Nelle pagine di Maus, le tavole del passato e quelle del presente si succedono senza soluzione di continuità: nella terza tavola (pag 11) il racconto si focalizza sulla vita di Vladek in Polonia prima del matrimonio.

Nella quinta tavola (pag.13), la prima vignetta, lunga a striscia, ritorna a Rego Park su Vladek che pedala alla cyclette e intanto racconta a suo figlio il suo passato brillante con le ragazze.

Da notare il linguaggio di Vladek: «Abbiamo incontrato circa tre o quattro anni». E la considerazione, diciamo “contabile”, su questa ragazza.

C’è una tavola significativa della padronanza con cui l’artista si nuove su più piani temporali. Vladek sta narrando la sua presenza al fronte nel 1939 come soldato polacco.

Maus-passato e presente

In questa tavola di pagina 43 la prima vignetta è una striscia: nella zona a sinistra con didascalia («Tutto era tranquillo…») c’è Vladek soldato polacco al fronte nel settembre 1939; nel resto della vignetta Vladek è nel suo salotto di Rego Park con Artie e racconta non solo i fatti del ’39 ma anche avvenimenti precedenti, il suo servizio militare quando aveva 21 anni. Le cinque vignette successive raccontano del padre di Vladek e del suo servizio nell’esercito russo, di come se n’era liberato e come s’era comportato per sottrarre il fratello di Vladek, Marcus, al servizio militare.

La scelta di un soggetto vero, storico, autobiografico, le scelte espressive del disegno, la complessità della narrazione che si sposta continuamente dal passato al presente, da prima di Auschwitz a dopo, catturando i fili che li legano strettamente, segnano lo iato tra Maus, un vero e proprio romanzo grafico, e il semplice buon fumetto.

Mio padre sanguina storia

Maus-Vladek

Vladek non si sottrae all’inchiesta di Art. Suo figlio alla fine degli anni Settanta è ormai trentenne. Sa qualcosa della vicenda dei suoi, prima e durante la guerra. Ma Anja, la mamma, si è suicidata nel 1968 e ha raccontato al figlio solo qualche episodio della sua vita nell’orrore di Birkenau. Con Vladek per la prima volta, mentre il racconto si dipana, si stabilisce una certa intimità.
Emerge una persona diversa. Spinoso per come lo conosce Art, Vladek da giovane si rivela persino simpatico.

È un giovanotto di bella presenza, spigliato e persuasivo nel parlare, dotato di un solido senso pratico, tutte qualità che fanno il suo successo nel commercio e con le ragazze. Ha una lunga relazione con Lucia, finché incontra Anja. Famiglia molto ricca di industriali, bella ragazza, ne è attratto. Ma prevale in Vladek il senso pratico e calcolatore: il patrimonio, va bene; ma … è ordinata la fanciulla? Ispezione all’armadio di casa. Accertamento sulla sua salute, avendo trovato nell’armadio pillole che lo insospettiscono. «Se lei era malata, a cosa poteva servirmi?»

Fidanzamento ufficiale alla fine del 1936, e matrimonio il 14 febbraio 1937 a Sosnowiec, dove vive la famiglia Zylberberg. «Ho traslocato a uno di due appartamenti di mio suocero. Erano tutti due suoi, e per nozze lui intestava me una parte e poi regalava bellissimo orologio d’oro». E non solo, il padre di Anja fa in modo che Vladek diventi proprietario di una fabbrica tessile a Bjelsko. In ottobre nasce Richieu. Un po’ prematuro, dato che i suoi genitori si son sposati in febbraio! La notazione scherzosa dà origine al primo confronto tra i due fratelli: in realtà è Art che è nato davvero prematuro, e in così cattive condizioni che i medici non pensavano potesse vivere!

Subito dopo il parto Anja ha una crisi depressiva. Si mobilita per lei tutta la famiglia, soprattutto Vladek che fa ogni sforzo per aiutarla a guarire. Lascia al suocero la direzione della fabbrica, affida il bimbo ad una governante e parte per una clinica ceca con Anja, che si riprende. Ma intorno a loro il mondo si oscura a causa dei nazisti che alla fine degli anni Trenta sono sempre più violenti, sempre più minacciosi. E scoppia la guerra. Vladek è richiamato nell’esercito polacco.

L’avanzata tedesca in Polonia è inarrestabile. Vladek è preso prigioniero. Maltrattato, soprattutto perché ebreo; messo ai lavori forzati. Ma sono permessi i pacchi da casa, i pacchi della Croce Rossa: la vita è dura ma ancora tollerabile. In base alle convenzioni internazionali i soldati polacchi prigionieri sono infine liberati, e Vladek può tornare a casa, sia pure superando non pochi ostacoli. La vita per le famiglie di Vladek di Anja si fa sempre più problematica. Ma Vladek col suo solido senso pratico riesca comunque a guadagnare bene: «Ricordo che suocero era molto contento di me» (pag.75).

E poi la storia è nota: retate, impiccagioni per le strade, ordine di trasferirsi nel ghetto, ordine di registrarsi alla stazione, treno, lager, gas: è così che l’intera famiglia di Vladek è cancellata dalla faccia della terra. La famiglia di Anja è più ricca, ma in definitiva i soldi servono solo a prolungare l’agonia. Grazie al loro denaro e alle loro relazioni si nascondono ma c’è sempre chi li tradisce.

E l’orrore cresce. Ci sono bambini nel ghetto, sono rimasti soli, alcuni hanno solo due o tre anni. Piangono. Assassinati rompendo loro la testa contro muri. Sangue. È così che torna d’attualità la scelta di mandare Richieu in un luogo sicuro. Uno zio di Anja, Persis, è persona molto influente nel ghetto di Zawiercie. Anja e Vladek gli affidano Richieu. Cosa fu di lui, lo scoprirono molto dopo. I tedeschi decisero di liquidare anche il ghetto di Zawiercie. Uccisero Persis e tutto il consiglio ebraico. Caricarono tutti sui camion e li portano in Auschwitz.

Tutti, meno Tosha, sorella di Anja, e i tre bambini che le erano affidati, Bibi, Lonia e Richeu. «Sempre Tosha portava intorno al collo un veleno… Ha ucciso non solo se stessa, ma anche tre bambini» (107).

Tocca infine ai genitori di Anja: deportati e gasati. Anja e Vladek si nascondono, ma devono cambiare spesso nascondiglio e molti loro conoscenti, polacchi, chiudono loro la porta in faccia. Provano a emigrare, ma sono traditi e infine catturati. L’ossessiva caccia all’ebreo conduce anche loro davanti all’insegna fatidica: Arbeit Macht Frei.

Maus. Auschwitz, e dopo Auschwitz

Questa vignetta rappresenta ciò che molte testimonianze ci hanno detto sulla procedura seguita dai nazisti al giungere del carico di prigionieri stremati: poche SS armate, molti prigionieri a fare il lavoro sporco di sgombero, i cani. È una vignetta particolarmente cupa. Ciò che la rende così tetra sono le linee fitte, verticali orizzontali diagonali, che pervadono ossessivamente tutta la scena. Ed esprimono bene la follia ossessiva di morte che causa la Shoah.

Arbeit Macht Frei cioè l’arrivo in Auschwitz non è l’ultima tavola di questa prima parte di Maus. L’ultima tavola è nel tempo di Rego Park. Art propone di rientrare in casa per leggere le vicende di Anja dai suoi diari, Vladek dice che quei diari non ci sono più. Li ha distrutti lui stesso in un momento di disperazione dopo il suicidio di sua moglie. Vladek indossa una giacca a scacchi a righe verticali e orizzontali molto meno fitte ma non meno ossessive di quelle della tavola immediatamente precedente.

Maus-i diari di Anjja

La siepe del giardino è di righe diagonali e Artie chiama suo padre “assassino”! Assassini i nazisti di Auschwitz, assassino di memoria il povero Vladek!

Dopo Auschwitz

La seconda parte di Maus racconta cosa fu di Vladek e Anja in Auschwitz e a Birkenau, fino all’evacuazione del campo nel gennaio 1945. Le peregrinazioni di Vladek dalla marcia della morte alla liberazione sono raccontate in modo dettagliato. Le vicende di Anja dopo l’evacuazione sono meno precise: Vladek testimonia in prima persona, Anja è ormai morta e i suoi diari sono perduti.

Il calvario di Vladek e Anja in Auchwitz e in Birkenau è lo stesso vissuto dai milioni di prigionieri, brutalizzati, torturati e assassinati in quel luogo. La vicenda di Anja e Vladek, fame percosse malattia rischio continuo di morte, è un’ulteriore testimonianza che, al di là dei singoli dettagli, conferma la veridicità dei fatti accertati non solo sulla base della memoria delle vittime sopravvissute, ma anche per via documentale dalla ricerca storica.

La bibliografia degli studi storici sulla Shoah è sterminata, fondamentale il saggio del 1961 di Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d’Europa, il saggio specifico su Auschwitz del 1972 di Hermann Langbein, Uomini in Auschwitz. Centinaia i racconti dei sopravvissuti. Claude Lanzmann ne raccoglie molti nel suo film documentario del 1985, Shoah. Noi italiani non possiamo non citare Primo Levi, Se questo è un uomo (1947) e La tregua (1963). (Per inciso: Primo Levi parla da subito nel 1947, non trova un pubblico, lo troverà solo più tardi… ma questa è un’altra storia).

È il dopo Auschwitz però ad essere il centro del racconto della seconda parte di Maus, che s’intitola E qui sono cominciati i miei guai. È una battuta di Vladek che commenta così non la marcia di evacuazione da Auschwiz e l’allucinante viaggio fino a Dachau in carri bestiame, al freddo, senza cibo, senza acqua, tra gli escrementi, tra i morti,… ma il tifo preso a Dachau. Per la prima volta da che è in lager,Vladek è sconfitto dalla malattia, che lo porta in punto di morte (pag. 247).

Ma E qui sono cominciati i miei guai come titolo generale della seconda parte, ripetuto per il terzo capitolo, sembra alludere ai guai di Artie perché questa seconda parte inizia nel presente. Non a Rego Park però, ma sui Catskill, le montagne nello stato di NewYork, dove il padre chiama il figlio, fingendo di aver avuto un infarto. Il tempo dei Catskill occupa più della metà del capitolo (il resto è passato: Auschwitz).

Il secondo capitolo, dal titolo “Auschwitz (Il tempo vola)”, si apre sulla profonda depressione che coglie Artie dopo la pubblicazione della prima parte di Maus in volume nel 1986, con grande successo di pubblico e critica.

Maus. Artie, la depressione

Ma Artie si vede così: il suo tavolo da disegno s’innalza sopra uno stuolo di cadaveri. Il racconto del padre gli ha dato la consapevolezza dell’infamia di Auschwitz. Tutti lo interrogano, ma lui sa che non si può commentare la scelleratezza al di fuori di quanto ha disegnato e scritto, pena la banalità.

Si sente sempre più ingiusto nei confronti del padre che ha sempre sentito lontano, autoritario, conflittuale. Ora che Vladek è morto (è avvenuto nel 1982, quattro anni prima del grande successo di Maus), Artie si sente in colpa verso di lui che ha superato un oceano di nefandezza in Auschwitz e di dolore dopo Auschwitz.. È lo psichiatra che lo cura a fargli comprendere il grumo di male che è all’origine della conflittualità permanente col padre. Ecco la pagina che mette a fuoco infine il rapporto di padre e figlio (pag.200).

Maus-Lo psichiatra di Artie

Il vero sopravvissuto è Artie, che ha combattuto tutta una vita contro il fantasma del fratello maggiore. Racconta a sua moglie Françoise che dopo la guerra i suoi genitori non potevano credere che Richieu fosse morto, perciò batterono ogni pista per ritrovare il loro bambino, visitando ogni orfanotrofio d’Europa. C’era una grande foto di Richieu appesa nella camera da letto di Vladek e Anja. Non c’era la foto di Artie. «Non avevano bisogno della mia foto in camera. Io ero VIVO! …. La foto non faceva mai capricci, non si cacciava mai nei guai, …. era un bambino ideale, E io un rompiballe. Non potevo competere. Non parlavamo di Richeu, ma la foto era come un rimprovero. LUI sarebbe diventato un dottore e avrebbe osato una ricca ragazza ebrea… lo stronzo» (pag.171).

Auschwitz è riuscito ad avvelenare la vita anche di Artie che pure è nato dopo e lontano: questo mette a fuoco il racconto che tavola dopo tavola si dispiega in Maus.

Richieu. Il dolore

Nell’ultima vignetta di Maus, Vladek è stanco di parlare di Auschwitz e si congeda da Artie in piedi di fronte al suo letto. E dice: «Sono stanco di parlare, Richieu»!

Dunque Maus è certamente un racconto sulla Shoah, su Auschwitz, sul nazismo e sugli ebrei, perseguitati e sopravvissuti. Ma non solo: Maus è anche un dramma familiare, narrato attraverso la memoria del padre, e rivelatore delle cause del conflitto che lo allontana dal suo secondo figlio. È la morte di Richieu che Vladek non si perdona!

Ecco perché l’opera di Art Spiegelman è qualcosa di più di un semplice fumetto: non è letteratura d’intrattenimento, non è divertente passatempo. È invece indagine, inchiesta sulle cause di un tormento penoso che dura nel presente ed è prodotto dal trauma del passato, e infine ricerca di una forma espressiva che permetta di affrontare l’orrore, senza esserne travolti. Dell’orrore bisogna parlare, ma il pericolo è quello o di soccombere o di rimanere sulla superficie e di non capire veramente ciò che è accaduto.

È il rischio delle celebrazioni come questa, il Giorno della Memoria: possono diventare retorica, luogo comune che banalizza l’abisso di volgarità di cui è capace il cuore umano.

Fonti

Art Spiegelman, Maus, trad. it Cristina Previtali, Einaudi, Torino, 2000. DA questa edizione sono tratte le citazioni dal testo

Art Spiegelman, MetaMaus, 2011, trad. it. Cristiana Mennella, Einaudi Torino 2016

D’Alessandro Marco, Il trauma a fumetti. Per una semiotica di Maus, Università di Bologna, 2018, https://www.academia.edu/39282415/Il_trauma_a_fumetti_per_una_semiotica_di_Maus

Maestroni Michele, Narrare la postmemoria, possedere la storia, L’olocausto e la finzione nella letteratura contemporanea, https://www.academia.edu/49409325/Narrare_la_postmemoria_possedere_la_Storia_Tesi_Magistrale_in_Teoria_della_Letteratura

Intervista a Art Spiegelman https://www.youtube.com/watch?v=BLVG3GNvHkU

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Con questo numero la rubrica Letteratura si prende una pausa.

Da sabato 25 febbraio inizierà una nuova rubrica: Guida alla Scrittura

Dedicata agli Universitari, ai neolaureati, a chi prepara esami, a chi prepara la tesi, a chi già lavora in azienda, negli studi professionali, negli uffici pubblici.

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