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Bombardare Stalingrado – o Mariupol?

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Bombardare Stalingrado – o Mariupol? La suggestione è forte, tuttavia sono eventi tanto diversi tra loro, perché sono diversi i contesti in cui si sviluppano. Ma suscita un’emozione profonda vedere la distruzione di un’intera città, come Mariupol oggi. Come Aleppo pochi anni fa, e Sarajevo negli anni Novanta,… Le differenze sono tante… e tuttavia quale sarà l’odore di Mariupol dopo la distruzione? È ancora, e sempre, l’odore degli incendi di guerra, l’inferno delle esplosioni, il boato degli aerei, il fracasso delle bombe, l’ammasso di rovine, la strage sulle vie di fuga.

Quanti libri hanno parlato del profumo dei prati e dei boschi, delle foglie secche, dell’erba giovane e del fieno fresco, del mare e dei fiumi, della polvere calda e del corpo umano … Il fumo, l’odore degli incendi  di guerra! La loro apparente somiglianza, sinistra e tragica, racchiude in sé molte sfumature. Fumo di una foresta di pini che brucia, bruma leggera e bluastra, profumata che si spande attorno agli alti tronchi color rame … Fumo acre e umido di alberi verdi che bruciano, freddo, pesante, attratto al suolo … Fiamme dense di fumo che s’impadroniscono del grano maturo, lente, pesanti, calde come le disgrazie della gente; fuoco vasto e rapido nelle steppe secche d’agosto … Fuoco rosseggiante che divora i covoni di paglia; fumo grasso e rotondo di petrolio incendiato…

Così Vasilij Grosssman cerca di fissare l’odore degli incendi di guerra in una pagina memorabile. E chi meglio di lui può raccontare cosa significa bombardare una città? Con gli aerei e l’artiglieria pesante. Grossman fu quattro anni al fronte dal 1941 al’45 come corrispondente di guerra. Ed è un grande scrittore. Il collasso della città è narrato e rappresentato con una vivezza, un’intensità che non teme confronto con le più spettacolari immagini di guerra cui tanto cinema ci ha abituato. Anzi, si esprime qui la più alta idea di letteratura fondata sulla potenza della parola narrativa, che è esatta nei dettagli e fine nelle sfumature, ed è dialogante sempre col lettore, cui chiede di collaborare perché la riflessione sulle vicende narrate sia profonda e benefica.

Poco tempo occorre per distruggere anni e anni di lavoro, di impegni, di fatiche, per distruggere la ricchezza che ci rende possibile non soffrire la fame. In pochi giorni si può creare un oceano di dolore, che svuotare sarà lunga e tormentosa vicenda.

I primi aerei apparvero verso le quattro

Bombardare Stalingrado – o Mariupol? Come sarà cominciata la giornata delle bombe per Mariupol? Forse come la domenica 23 agosto 1942 per Stalingrado.

La città si era svegliata come sempre.  Era una bella mattina estiva e, malgrado l’angoscia della guerra che compariva in ogni discorso, tutti facevano la loro vita: gli operai, le nonne, i bambini, le pettegole, i soldati, i volontari.

Ecco una ragazza appena sveglia che apre la finestra chiudendosi la camicia sul petto; ecco alcuni vecchi pescatori con la loro canna vanno lungo il fiume. La cassiera di un cinema comincia a vendere i biglietti. Un gruppo di attori davanti ai leoni del Teatro della Città chiacchiera e ride forte. Due donne pettegolano sui vicini di casa. Una tranquilla e familiare domenica estiva. 

Ma questa è l’ora in cui la pesante mazza nemica s’abbatte sulla città. Al fronte i tedeschi sono pronti, aprono gli ordini di attacco. Ed ecco che gli aerei decollano, i blindati, l’artiglieria, tutte le loro temibili armi si mettono in movimento. E Paulus, il generale capo, come un meccanico che ha messo in moto tanti ingranaggi, può finalmente fumare una sigaretta, e ben presto contemplare la rovina, l’oceano di sofferenza generato in poche ore e destinato a durare a lungo.

STALINGRADO BOMBARDATA

Sopraggiungono da est sei bombardieri. Volano a grande altezza, perfettamente visibili nell’aria trasparente. Il sole brilla e si riflette in migliaia di finestre e la gente guarda in su gli aerei che vanno verso ovest. 

Tutti odono i primi scoppi vicino al fiume. Tutti impietriscono all’urlo delle sirene dei battelli e delle fabbriche. «Solo una gola di ferro arrugginito può generare un simile suono che dice in eguale misura il terrore d’un animale e l’angoscia d’un cuore umano». È la voce della città intera, non solo degli uomini, ma delle case, dei veicoli, delle pietre, dei pali, dell’erba, degli alberi, dei fili elettrici, dei binari dei tram, un urlo che unisce uomini e cose nel presentimento della fine. Poi il silenzio, l’ultimo silenzio di Stalingrado. Tutti i rumori della città sono zittiti, annullati da un rombo di motori sempre più forte, lancinante, fitto.

Compaiono dai quattro punti cardinali altri aerei, neri contro un cielo blu, come insetti velenosi che sciamano folli di rabbia dal loro nido. Il sole divinamente indifferente brilla sulle loro ali.

Decollano i caccia sovietici dalle due rive del Volga, l’artiglieria contraerea si fa sentire, e per un breve momento si scompiglia lo stormo nemico che avanza a diverse altezze e occupa tutto il cielo. Alcuni bombardieri tedeschi sono abbattuti e precipitano in fiamme. In mezzo al fumo i paracadute multicolori si aprono sulla steppa.

Ma gli aerei tedeschi cominciano a scendere tutti insieme sulla città, sembra che il cielo estivo piombi sulla terra.  Così fu bombardare Stalingrado – e Mariupol!

Bombe esplosive, bombe incendiarie

Un sibilo acuto è quello delle bombe esplosive, a decine, a centinaia. Poi a decine, a centinaia scoppiano assordanti le bombe incendiarie: questo suono dura tre, quattro secondi, ma atterrisce ogni cuore, umano e non, il cuore di chi muore e il cuore di chi sopravvive.

Tutti sentono: le donne in coda davanti a un negozio che corrono a casa dove hanno lasciato i figli; chi fa in tempo a ripararsi in un rifugio sotterraneo, e chi cade sul selciato delle piazze e delle vie; gli ammalati in ospedale, e persino i neonati … tutti, tutti si paralizzano a quel suono mai udito prima.

Le bombe cadono e distruggono. Le case, che sono abitate dagli esseri umani, come gli esseri umani muoiono, di colpo o poco alla volta. Alcune case, alte e snelle, s’accasciano di fianco, uccise sul colpo. Altre, tozze, restano in piedi, ma tremano e zoppicano e, sventrate, lasciano vedere ciò che stava dentro, protetto: i ritratti alle pareti, le credenze, i tavolini da notte, i letti doppi, i vasi dei cereali, una patata a metà sbucciata su una tavola coperta da una tela cerata macchiata d’inchiostro. Sono messi a nudo i tubi dell’acqua, le putrelle di ferro delle solette, i fasci di cavi. Le strade sono ricoperte di detriti di mattoni polverosi. Migliaia di case si ergono cieche, le finestre distrutte, i marciapiedi invasi da scaglie di vetro. Così fu bombardare Stalingrado – e Mariupol!

Rotaie deformate, vetrine liquefatte

Disarticolandosi e scomponendosi, gli oggetti perdono ogni loro funzione e diventano irriconoscibili: così è per le rotaie deformate e per i fili strappati dei tram che tintinnano e cigolano al vento. Le vetrine dei negozi sono come liquefatte. Ancora più sinistro appare ciò che per capriccio della sorte resta in piedi, intatto. Incongruo, si erge il chiosco di compensato blu delle bibite, così come un cartello stradale e la cabina del telefono con tutti i suoi vetri, in mezzo alla spessa polvere di mattoni, alla nebbia che s’innalza sopra la città e sul fiume. 

Le detonazioni a centinaia fanno tremare la terra anche nell’Oltrevolga. La nebbia di polvere densa ricopre il fiume per decine di chilometri come un lenzuolo che nell’oscurità da bianco diventa giallo-grigio. La nuvola nera che sovrasta la città, spinta dal vento, ancora dopo molte settimane stagna a decine di chilometri di distanza, oscurando la luce del sole. Così fu bombardare Stalingrado – e Mariupol!

Crolli e fumo e fiamme

La città crolla e uccide, si scatenano le fiamme e uccidono. Tutto è fumo che soffoca, tutto è fracasso che sconvolge cielo e terra. Un vecchio è schiacciato da una traversa di ferro; un bimbo è riverso a terra, il suo ciglio leggero nessuna forza nell’universo potrà mai più risollevare …

È l’apocalisse: il fuoco si propaga da un edificio all’altro, le strade sono interamente divorate dalle fiamme, la spessa barriera dell’incendio, viva ed in movimento, in alcuni punti s’interrompe e lascia vedere, dietro, colonne di fuoco, alte come torri, gonfie come cupole incandescenti, d’un oro rosso ramato e bruno, come se una nuova città infuocata fosse spuntata sopra Stalingrado. 

Infernale è il calore sprigionato, l’aria è presto irrespirabile. Tutti gli esseri viventi cercano scampo con la fuga, dal fuoco dal fumo dalla polvere densa. Fuggono gli uomini, le donne, i bambini, i vecchi, e gli animali, coinvolti nella follia della guerra. Così fu bombardare Stalingrado – e Mariupol!

terrore

La rappresentazione più suggestiva del terrore degli umani avviene in questo romanzo attraverso il terrore degli esseri viventi non-umani.

La battaglia divenne realtà non solo per gli uomini, ma anche per gli uccelli selvatici, che volteggiavano nell’aria impregnata di fumo, per i pesci che nuotavano nelle profondità del Volga: immensi beluga, grossi pesci siluro, lucci secolari appiattiti sul fondo, storioni giganti dalla testa grossa finivano storditi dalle bombe che sconvolgevano l’acqua.

Formiche, maggiolini, vespe, grilli, ragni delle steppe d’intorno non poterono ignorare la battaglia: la terra perforata di buchi e gallerie tremava giorno e notte, scossa nel profondo. I topi, le lepri, i roditori impiegarono diversi giorni ad abituarsi all’odore di fuliggine, al nuovo colore del cielo, al tremolio del suolo, alla caduta di cumuli di argilla sulle loro tane.

Gli animali domestici dell’Oltrevolga furono travolti dal panico come per un incendio: il latte delle vacche si esaurì, i cammelli gridavano, si impuntavano, i cani ululavano la notte, mangiavano senza appetito, giravano in tondo, la testa bassa, attorno alle case, l’aria sperduta; sentendo il fischio lancinante degli aerei tedeschi, si nascondevano in qualche buco e guaivano. I gatti non lasciavano più la loro casa: le orecchie ritte, ascoltavano malfidenti il tintinnio continuo dei vetri.

Molti animali spaventati lasciarono questi luoghi e si spostarono verso il lago Elton, partirono diretti a sud nelle steppe calmucche e verso Astrachan’ oppure salirono verso Saratov …

L’impegno morale di questo romanzo è quello di far emergere il caos sudicio, trapuntato d’orrore, della guerra vera, che non è quella delle carte militari, bozzetti piatti in cui quote e altitudini fanno sparire valli e colline e fiumi. No. La guerra è fragore, è fumo, è odore di incendio, è coscienza della fragilità del corpo, è sangue che scorre copioso, è dolore senza fine. Così fu bombardare Stalingrado – e Mariupol!

Il genio umano è scienza non guerra

Reciso è il giudizio finale di Vasilij Grossman sulla guerra: non c’è genialità nella guerra, non c’è grandezza; nella guerra c’è la ripetizione di schemi mentali che sono già propri dell’uomo delle caverne: che differenza c’è tra circondare un mammut per ucciderlo e circondare un’intera armata per annientarla? Lo schema mentale che si applica è sempre lo stesso. Certo si può agire in modo maldestro, in modo stupido o con abilità e intelligenza, come certamente fecero i generali sovietici di Stalingrado. Ma non v’è genialità nella guerra. 

Geniali sono gli uomini di scienza che portano idee nuove all’umanità, geniali sono Galileo, Newton e Einstein. 

Certo, ci sono anche gli uomini di talento, quelli che applicano principi già esistenti in natura o creati dall’uomo stesso; la guerra, se condotta da uomini di talento, si limita a innestare su vecchi principi nuove tecniche. Come non notare, sia detto per inciso, il contrasto di questo giudizio, il giudizio di Vasilij Grossman,  con  la vulgata corrente creata dall’entourage di Stalin circa la genialità del comandante supremo?

Persone ordinarie, imprese straordinarie

Invece nel raccontare la guerra questo grande romanzo concentra l’attenzione soprattutto sugli esseri umani che quelle vicende hanno attraversato e subito. Sono le loro azioni, i loro discorsi, il loro modo di affrontare la morte che sono degni di essere ricordati, insieme alle loro incongrue e impossibili, eppure vitali, storie d’amore. 

Il caso di Stalingrado è quello di una città ordinaria, abitata da gente comune. Tutte queste persone ordinarie, non potevano sapere che di lì a poco alcune di loro avrebbero compiuto opere straordinarie con la massima semplicità, «la stessa semplicità con cui facevano il loro lavoro quotidiano». 

Non è questa un’immensa speranza per l’umanità? S’interroga, e ci interroga, la voce narrante.

Le opere veramente grandi sono compiute da gente semplice, ordinaria. Non è un’ingenua idea della bontà degli esseri umani, di cui anzi spesso emergono la stupidità e la grettezza e la malvagità ordinaria. E tuttavia altrettanto spesso il narratore coglie il quid di vera grandezza che pure esiste, non in tutti, ma è difficile dire a priori in chi. Perché è qualcosa che si cela, che spesso è inconsapevole, ma che esiste, e si esprime nella fedeltà «alla libertà, al sogno di giustizia, alla gioia del lavoro, all’amore per la patria e i figli, all’amor materno, al senso sacro della vita».

Prossimo appuntamento sabato 24 giugno.

Fonti

Il testo è adattato dal saggio di Ferdinanda Cremascoli, Stalingrado. Il polittico di Vasilij Grossman. Memorie plurali e memoria di Stato. eBook di italianacontemporanea.org, maggio 2020, ISBN 9788835372547. Disponibile in tutte le librerie online.

L’analisi del testo che sta alla base del saggio è condotta sulle traduzioni in francese e in inglese della dilogia, e sulla traduzione italiana per Vita e destino.

Vie et destin, traduit du russe par Alexis Berelowitch avec la collaboration d’Anne Coldefy-Faucard, préfacé par Efim Etkind, L’Age d’Homme, Lausanne, 1980, ISBN 9782253110941

Pour une juste cause, traduction française de Luba Jurgenson, L’Age d’Homme, Lausanne, 2000, ISBN 9782825114292

Life and Fate, translated by Robert Chandler, indroduction by Linda Grant, Vintage Classic, London, 2006, ISBN 9781446467046

Stalingrad, translated by Robert and Elisabeth Chandler, Harvill Secker, London, 2019, ISBN 9781846555794

Vita e destino, traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi, Milano, 2008, ISBN 9788845923401

Le citazioni da Per una giusta causa sono tradotte in italiano dall’autrice del saggio dal testo francese. Le citazioni da Vita e destino sono tratte dalla traduzione italiana sopra menzionata. 

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2 Commenti

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