Hitler
Il tono delle pagine su Hitler è quello di un saggio storico. È il tono pacato di chi descrive, analizza, studia, e cerca di spiegare anzitutto a sé, e poi agli altri le cause di eventi gravissimi, ma sfuggenti.
Il finale è sorprendente: il tono pacato lascia il posto ad una memorabile invettiva contro Hitler. Il tono si fa concitato, turbato: «Criminali simili vanno abbattuti come si abbattono i lupi idrofobi, vanno marchiati con il nostro più ardente ribrezzo, ne va incenerita ogni memoria a suon di odio, e vanno smascherati – mostri che sono – in ogni loro piega».
L’invenzione per immaginare la realtà
Le pagine su Hitler toccano un punto nevralgico dell’intero romanzo. La figura di Hitler suscita ancora una volta la domanda: com’è possibile che un essere umano concepisca ciò che umano non è? La Shoah. La descrizione accurata dei fatti è nelle pagine dedicate all’accaduto. Ma l’acribia dell’artista nella ricerca delle cause non basta a chiarirne la natura sfuggente. Ricorre dunque alla sua immaginazione. Disegna il carattere di Hitler. Rispetta scrupolosamente la verità storica ma non gli basta per capire le imprese criminali del suo personaggio, dunque aggiunge si sente libero di inventare.
Hitler è anzitutto fiction. È cioè personaggio di un ampio racconto inventato. L’artista infatti avverte il peso reale, terribile, che l’Hitler reale e storico, ebbe sulla vita reale di tanti esseri umani. Quindi nel disegnare questo personaggio l’artista cerca di immaginare una chiave di lettura, che possa spiegare l’enormità dei crimini che l’Hitler storico commise.
Perseguendo questo scopo, l’artista dà al suo racconto la forma della “narrazione”, dello “storytelling”. Nel suo discorso analitico vi sono inserti narrativi, frutto della sua immaginazione, che l’artista usa per far emergere in modo incisivo il carattere che ha creato per questo personaggio. Sull’Hitler storico Grossman dà un giudizio che definire negativo è eufemistico. L’invettiva finale del capitolo 30, II parte, non può esser più esplicita: Hitler è un cane rabbioso da abbattere. Il giudizio è sostenuto dal racconto di alcuni episodi di pura invenzione che l’artista ha immaginato nella sua ricerca di un’interpretazione di una personalità criminale così enigmatica e così formidabile.
Hitler secondo Grossman. L’icona e l’ometto
Il suo aspetto è sfuggente, come la sua personalità. La sua figura fisica, reale, è l’ancoraggio da cui si sviluppa l’invenzione. Il corpo di Hitler sembra composto di parti in disaccordo tra loro. È magro fino alla cintola, grasso dalla cintola in giù. «Il viso ossuto, le tempie incavate, il collo lungo, la nuca stretta sono proprie dell’uomo magro; il sedere e le gambe grosse sembrano prese in prestito dall’uomo grasso e ben pasciuto» (Stalingrado, II, 26).
Da questa dicotomia prende spunto l’immaginazione che insiste sulla duplicità di Hitler. Da un lato l’icona ufficiale: la sua uniforme, la sua croce di ferro, il distintivo di partito e quello della nuova Germania, … le migliaia di foto, di documenti, di francobolli, di bassorilievi in gesso e in marmo, le caricature inglesi e sovietiche, i manifesti e i volantini. Dall’altro lato l’ometto cinquantenne che dorme male, affetto da turbe del metabolismo.
Una bottiglia di brandy “Tre Valletti”
In un ospedale vicino al fronte di Stalingrado, dietro le linee tedesche, tre soldati feriti e convalescenti chiacchierano. A un tratto da uno zaino esce una bottiglia di un brandy italiano., brandy “Tre Valletti”. Lo produceva la distilleria Sarti di Bologna, che lo ha commercializzato ancora a lungo dopo la guerra. Per me è un oggetto domestico della mia infanzia. Come è arrivata la bottiglia di Bologna in quell’ospedale di Stalingrado? Questa è uno di quei casi minimi che sono prodotti da casi di grande importanza. Tra i due fatti c’è una sproporzione così grande da essere grottesca. Dietro i “Tra Valletti” s’allunga l’ombra di morte generata da Hitler e Mussolini, dal loro incontro di Salzburg dell’aprile 1942. Quell’incontro porta la bottiglia a Stalingrado e gli alpini sul Don.
Hitler a Salzburg
I primi due capitoli di tutto il romanzo sono dedicati allo storico incontro di Hitler con Mussolini a Salzburg nell’aprile 1942. È il momento in cui Hitler decide di attaccare il sud della Russia per cancellare il ricordo della sconfitta della guerra-lampo dell’estate precedente, e costringe Mussolini, che non può più fare altrimenti, a seguirlo.
La figura di Hitler appare subito in questi due capitoli come dimessa e molto lontana dall’immagine trionfale che egli ha di se stesso e che presenta in pubblico. Hitler a Salisburgo è un vecchio: i capelli ingrigiti, le occhiaie, il viso di un pallore malsano. Un vecchio sì, ma collerico nel tono della voce, e brutale nel gesto.
Così lo vede Mussolini, ancora stupito del successo di questo «psicopatico boemo», «incredibilmente verboso».
Il secondo giorno dei colloqui di Salisburgo decide il rilancio della guerra. L’artista vede in Hitler il giocatore d’azzardo. Sono le circostanze da lui stesso create a condizionarlo, ad imporgli di innalzare la posta in gioco, senza limite, fino alla rovina. Più i suoi successi sono grandi, e meno Hitler capisce la realtà: resta convinto che la condotta fin qui adottata, una condotta primitiva e bestiale, possa essere continuamente replicata.E questo è il suo errore, quello che lo conduce al fallimento totale. Qui l’artista isola e illumina la caratteristica che ritiene costante della personalità di Hitler: il fallimento. La cifra distintiva del carattere di Hitler è il sentimento di inferiorità e di insicurezza che gli deriva dai suoi numerosi fallimenti.
Il fallimento delle sue ambizioni artistiche, il fallimento militare catastrofico nella guerra da lui stesso scatenata; infine il fallimento totale come leader della Germania ridotta ad un cumulo di macerie.
«Voglio sentire una parola sola: fatto!»
Dissociazione della personalità (essere un ometto e credere di essere dio), la costante esperienza del fallimento (tentare di essere riconosciuto come pittore anche nei più modesti circoli di provincia e non riuscirci); infine l’assoluta mancanza di scrupoli. Hitler è un uomo sprovvisto di qualsiasi scrupolo morale. È capace di immaginare i comportamenti più crudeli e più luridi.
Gli istinti viziosi, che secoli di civiltà hanno combattuto, hanno nel suo mondo spazio e onore! Il dialogo tra Hitler e Himmler racconta proprio la crudeltà e la totale estraneità di Hitler a qualsiasi codice morale.
La scena si svolge a Berlino nell’ufficio di Hitler alla Cancelleria. Il Führer è in collera con Himmler, giudica i suol piani una perdita di tempo. Himmmler obbietta che si tratta di un’impresa titanica di cui lui solo, insieme al führer, conosce l’immensità.
Lui, Himmler, è l’unico a sapere che volontà ferrea esiga una tale impresa; che forza di volontà sia necessaria per non provare compassione del debole; occorre lottare contro secoli di pregiudizi umanisti, più le vittime appaiono impotenti ed inermi, più la lotta è difficile.
Lui solo, Himmler, sa che gigantesco piano sia quello che si sta attuando, un piano che, secondo il pregiudizio rammollito, si chiama assassinio di massa!
I progetti delle camere a gas sono lì, sul tavolo.
Hitler li conosce, Himmler li conosce, ed ha anche visto personalmente la semplicità delle camere a gas, il sentiero fiorito che vi porta, la musica di accompagnamento. elementi necessari per ingannare le vittime, ed anche per proteggere i carnefici.
Ma Hitler lo interrompe: «Io voglio sentire: fatto! Dopo la guerra non voglio tornare su questo problema. Non m i occorrono sentieri fioriti, né tutti questi progetti. Non siamo all’Università. Forse che in Polonia non ci sono burroni o reggimenti di SS che non fanno niente?»
L’altro dittatore, Stalin
In realtà il romanzo di Vasilij Grossman fa un ritratto acuto anche dell’altro dittatore, di Stalin. I due dittatori si somigliano per la profonda estraneità alla cultura politica e giuridica europea, radice della democrazia, come sistema di governo della società. Hitler e Stalin sono entrambi nazionalisti, pensano cioè che quanto è riconosciuto al proprio popolo non è riconosciuto ad un altro; pensano che l’unicità e originalità dell’individuo sia una minaccia al potere costituito, una minaccia forte da combattere con la violenza e la menzogna di Stato. I due dittatori sono uomini rozzi, privi di ogni scrupolo morale, indifferenti ai costi umani delle loro azioni. E tuttavia non sono uguali.
Uguali sono i risultati della loro azione, terrore lager sterminio, ma le loro personalità sono diverse: tanto Hitler è logorroico, quanto Stalin è asciutto; tanto Hitler costruisce il suo potere nel rapporto diretto col popolo, quanto Stalin coltiva il suo potere sul popolo, non comparendo direttamente ma attraverso i suoi uomini, peraltro spesso sostituiti; tanto Hitler appare come un primitivo furioso, quanto Stalin sembra guidato da un’apparente razionalità che giustifica le azioni più turpi.
Per approfondire la figura di Stalin vi consigliamo Voci da Stalingrado, Episodio 3 Dittatori.
I volumetti di Voci da Stalingrado sono 6. Li trovate su Amazon e in tutte le librerie on line, anche in quella dove avete un vostro account.
Termina qui con la puntata di oggi la nostra lunga scorribanda tra gli episodi della dilogia di Vasilij Grossman su Stalingrado. Abbiamo esplorato la pluralità dei toni di questo grande scrittore che racconta un popolo, cioè la varia originalità delle donne e degli uomini che vivono negli stessi luoghi e hanno in comune esperienze di vita. Gli articoli che li presentano sono qui in DELTASCIENCE, nella rubrica Letteratura.
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