Un pacco alla stazione
Un pacco alla stazione è un episodio di Voices from Stalingrad, un eBook illustrato raccomandato da ItalianaContemporanea. Ciascun episodio nei due romanzi che costituiscono la dilogia di Stalingrado ha un suo tono particolare. L’idea è di far sentire a chi legge l’ampiezza dei registri espressivi che il testo conserva anche in traduzione.
Un tono sentimentale
Un pacco alla stazione è la storia malinconica e gentile di Lena, una giovanissima infermiera sul fronte più cruento. Nella lotta accanita per la stazione c’è anche la storia mesta dell’amore di Lena per Kovalëv, giovane e valoroso ufficiale della XIII Divisone della Guardia. Un tono sentimentale nella bruttura della guerra.
Un pacco da un altro mondo
Un pacco alla stazione. È uno di quei pacchi che giungono in URSS con i convogli di aiuti militari degli Alleati. Viene da un altro mondo, un mondo dove non è neppure immaginabile la quotidianità di Lena, infermiera del battaglione che ha appena rioccupato la stazione di Stalingrado, e che fronteggia i tedeschi, ancora in forze alla metà di settembre. Lena assiste ogni giorno decine di feriti e moribondi. Ha una giacca sola, troppo grande, strappata e macchiata, come i suoi stivali, grossi insanguinati impossibili da pulire. La sua treccia è sfatta e sporca, non ha acqua per lavarsi, non ha niente per cambiarsi.
Gioia e orgoglio
Un tono sentimentale
Così, quando apre il pacco e vede il bell’abito di ottimo cotone, il gilet di lana con un grazioso motivo verde blu e rosso, la biancheria col pizzo, l’accappatoio (!)…, ha un momento di pura gioia.
Il suo sguardo è «pieno di grazia, di femminilità»
e per un attimo, cala il silenzio sulla stazione sconvolta
«per non disperdere questa espressione del suo viso».
Per un attimo solo! perché Lena lascia il pacco dov’è.
Lena
Anche alla stazione come al 6/1 si combatte accanitamente, e si vive tuttavia intensamente. La storia d’amore tra Lena e Kovalëv è gemella di quella tra Katja e Serëža al 6/1. Qui però il finale non è aperto, ma definito con la morte di entrambi in combattimento. C’è un sentimento che accomuna le due ragazze: il disagio per la tensione maschile che avvertono intorno a loro; il timore è che il loro destino sia già segnato con quell’orribile espressione “donne da campo”. Katja è spaventata, e cerca protezione; Lena reagisce ostentando la propria disinvolta sicurezza. Lena non vuole essere in balia degli eventi, Lena sceglie consapevolmente, prima Filiaškin, perché le piace, e poi Kovaliov, perché se ne innamora.
Una o due sere prima della fine, in una tregua dopo aspri combattimenti, Filiaškin chiama Lena al comando; vuole regalarle un pacco giunto alla stazione con gli aiuti americani. Filiaškin si sente in colpa verso Lena, pensa di essersi comportato disonestamente, vuole in qualche modo risarcirla con un regalo, e l’unico possibile è quel pacco.
Lena lo apre, e grande è il suo piacere alla vista di quelle cose, belle e normali in un mondo ristabilito nei suoi ritmi, un mondo dove lavarsi non è un evento straordinario. Ma subito sente che quelle belle cose, che le piacciono, non le può accettare, perché sono dono di Filiaškin, perché ne avverte il valore di risarcimento. Il prezzo di una donna “da campo”. E lei non è, una donna da campo.
Così con i suoi abiti sporchi e fuori misura, i suoi brutti stivali, le mani con le unghie nere, lascia il pacco in un angolo e dice che non ne ha bisogno. A Filiaškin che cerca in qualche modo di scusarsi, risponde fiera: «Non sono una bambina. Sapevo quel che facevo». Morirà poche ore dopo, senza essere riuscita a fare la pace con Kovaliëv, e senza aver mai usato questa bella biancheria inutile, che finirà nelle mani del soldato Stumpfe, un saccheggiatore privo di scrupoli.
Kovalëv
Kovalëv è un giovane ufficiale, di una divisione d’élite dell’Armata Rossa: la XIII Divisione della Guardia che combatte sulla riva destra del Volga sotto il comando del generale Rodimcev. Anche lui è giovanissimo, ma combatte già da qualche mese, facendosi onore: è decorato con due medaglie al coraggio ed ha una cicatrice sulla tempia.
Il racconto insiste molto sul motivo della giovinezza di Kovalëv, e di Lena e di tanti giovanissimi travolti dalla guerra. Sottolinea così il copioso tributo di sangue versato dalla gioventù sovietica negli anni dell’invasione.
La povertà di Kovalëv è narrata attraverso una minuta, e commovente, descrizione degli oggetti custoditi con cura nel suo zaino smilzo.
Lo zaino smilzo di Kovalëv è il contrappunto al pacco ricco della stazione.
Povero, giovane e intransigente
Povero, giovane e intransigente. Questo è Kovalëv. La sua intransigenza si nota già nell’episodio della festa a casa Šapošnikov. Il giovane Kovalëv è l’unico in quella compagnia ad avere un’esperienza diretta della guerra. Il suo atteggiamento verso i presenti oscilla tra arroganza. condiscendenza, e aspra polemica. Ma è solo la crosta. Sotto c’è un animo deluso.
Deluso
Kovalëv è un giovane che ha creduto a quello che gli hanno insegnato nelle scuole sovietiche, specie alla scuola militare. Sicché ora è scandalizzato da quegli ufficiali che della guerra chiacchierano, ma non la fanno. Nei primi mesi di guerra Kovalëv ha visto la pusillanimità di molti dirigenti politici e militari sovietici. È furioso se pensa alla terribile ritirata verso est dell’anno prima.
La sua rabbia è provocata dalla consapevolezza che il disastro è dovuto non solo alla superiorità del nemico, ma anche alla codardia e all’impreparazione di molta parte della classe dirigente sovietica, non all’altezza del compito cui è stata chiamata. Spesso gli ufficiali sono stati tra i primi a ritirarsi, e ora se ne stanno al sicuro nelle retrovie, e mandano in una prima linea senza scampo migliaia di uomini e donne. Questo disprezzo degli ufficiali grassi e irresponsabili riemerge anche nella sua lite con Lena,, quando l’accusa di avergli preferito uno di questi ufficiali pingui e cacasotto! Un giudizio peraltro ingiusto sul comandante Filjaškin, ma così sono i giudizi di Kovalëv: secchi, perentori, non sempre ponderati.
La XIII Divisione della Guardia
Kovalëv ha delle forze armate un’alta considerazione. Ciò spiega anche il suo malumore quando apprende da una lettera di Tolja stesso che anche lui con tutto il suo reggimento è entrato nella Guardia, cioè nel corpo scelto. Ritiene ingiusto che possa essere collocato in una divisione di così alta importanza, chi non ha mai affrontato la guerra, quella vera. Non stupisce quindi che come ufficiale istruttore delle reclute il tenente Kovalëv sia particolarmente severo ed esigente.
Questo è il carattere dell’uomo che proprio mentre sta partendo per Stalingrado incontra Lena e se ne innamora. Ma gli giunge all’orecchio un pettegolezzo: c’è o c’è stata una relazione tra Lena e Filiaškin. Per lui non c’è altro da dire.
L’ultimo mesto dialogo
È notte ormai, Lena ha lasciato per terra gli elegantissimi e inutili vestiti americani del pacco alla stazione. Ha lasciato stupefatto il comandante Filjaškin, che comunque non capisce il suo gesto. Passa da Miša Kovalëv. Vuol fare la pace con lui. Vuole dirgli che non lo ha ingannato. Ma lui è brusco e irremovibile. È la tristezza di Lena a segnare questo ultimo incontro con Miša Kovalëv. È un momento di tregua. Qualche ora dopo i combattimenti riprendono furiosi. Kovalëv muore colpito da una pallottola in mezzo agli occhi. Lena con tutti i feriti che assiste muove per l’esplosione di una bomba sganciata da uno Junker.
Voices from Stalingrad
Nella luce dell’aurora il fumo denso sollevato dall’esplosione si colorò di rosso. Una nuvola leggera rimase per un po’ sospesa nell’aria, poi il vento del Volga la soffiò verso ovest e la disperse per la steppa.
Così si chiude il capitolo dedicato a Lena e alla sua fine. Raccontare la guerra esige un impasto grasso e denso. Lena e Kovalëv, che nella guerra hanno speso gran parte della loro breve vita, sono fatti però di un’altra pasta, più soffice e destinata a durare poco.
Su Vasilij Grossman
Di Vasilij Grossman si è già occupata la nostra rubrica di letteratura. La famiglia di Vasilij Grossman (1905-1964) è ebrea, ed è ucraina, non parla yiddish, ma russo. La formazione di Grossman è la chimica, studia a Mosca e lavora nei primi anni Trenta come ingegnere nel bacino minerario del Donbass. In quegli anni decide di diventare uno scrittore, in russo. Ebreo, ucraino, russo, europeo, Donbass…. dovrebbe già essere scattato un campanello di attenzione nella vostra mente: luoghi e condizione di Grossman hanno a che fare con la crisi che ci affligge da almeno due anni.
Quando i tedeschi invasero l’Unione Sovietica era il 22 giugno 1941; Grossman si arruolò immediatamente e fu destinato a Stella Rossa, il giornale dell’esercito. Nell’ottobre ’42 fu a lungo a Stalingrado sulla riva destra del Volga, nel cuore cioè della guerriglia sovietica contro i tedeschi. Da questo momento in poi Stalingrado occupa progressivamente il centro della sua scrittura .
Nascono negli stessi anni, tra la metà degli anni ’40 e i primi anni ’60, opere di grande valore: e tra queste c’è un capolavoro: la dilogia di Stalingrado: Vita e destino (sequestrato dal KGB nel 1962), e il suo “prequel”, un romanzo scritto subito dopo la guerra, pubblicato in URSS col titolo Per una giusta causa all’inizio degli anni Cinquanta dopo uno strenuo braccio di ferro con la censura.
Per saperne di più consultate l’enciclopedia Treccani.
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LA PAGINA DEDICATA
ALLA DILOGIA DI STALINGRADO ➡️.
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