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Il cigno nero: storia di perturbazioni odierne

Tempo di lettura: 9 minuti

Avete mai visto un cigno nero? Io no. Eppure, parlando con la gente e leggendo qua e là, sembra che effettivamente esista. Da buon abitante del XXI secolo ho quindi provveduto a cercare alcune immagini su internet. Mi sono imbattuto in un fiero e maestoso uccello che sembrava uscito da un racconto di fantasia. Ma, come ho potuto constatare, solo in pochi parlano del suo portamento o del suo piumaggio, quello che conta, quando si vede un cigno nero, è la sua rarità…
Ma perché parlarne? Abbiamo scelto di iniziare chiamando in causa questo animale per affacciarsi sulla complessa realtà sociale di oggi, sviluppatasi in seguito all’avvento della pandemia da Covid-19. In particolare, vogliamo far partire il nostro ragionamento da una teoria probabilistica sviluppata dal matematico e statistico Nassim Nicholas Taleb: la “teoria del cigno nero”, appunto. Ma, prima di inoltrarci nell’argomentazione, vogliamo fin da subito fare alcune specifiche metodologiche e contenutistiche su quello che andremo a scrivere. In primis vogliamo fin da subito esplicitare che questo articolo prende spunto quasi esclusivamente dai contenuti di un breve e recentissimo saggio intitolato “Morire durante la pandemia” (Bormolini, Manera, Testoni, 2020) e che quindi, metodologicamente parlando, pur prendendo vita da più studi sul tema, non incrocia numerose fonti, ma costituisce uno sguardo prospettico ben preciso (per maggiori informazioni rimandiamo alla biografia e al testo sopra citato). Inoltre, vista l’attualità degli argomenti trattati, i contenuti che verranno presentati non pretendono di essere esaustivi, ma piuttosto di fornire precocemente alcune categorie di analisi per approcciarci a una società profondamente perturbata dall’emergenza in corso.

Dopo queste premesse iniziali, possiamo ora tornare al nostro cigno nero. Secondo la teoria di Taleb l’improbabile governa la storia, che è solcata da avvenimenti impossibili da prevedere con metodi statistici, che ci colgono di sorpresa e, quindi, facilmente impreparati. Secondo lo studioso tutto ciò che consideriamo familiare e riteniamo prevedibile – per esempio che i cigni siano bianchi – non è altro che una distorsione psicologica che permette agli uomini di vivere credendo di poter controllare gli eventi. Ecco che però ci imbattiamo nel cigno nero e, con esso, cade la nostra illusione e la nostra pretesa di controllo sul mondo.
La pandemia da covid-19 è stata senza dubbio un cigno nero nella recente storia dell’umanità e, con la sua drammaticità e imprevedibilità, ha portato una serie di modificazioni nel nostro modo di vivere e significare gli spazi della nostra quotidianità e il modo di approcciarsi al reale. Abbiamo dovuto cambiare le nostre abitudini, non abbiamo più goduto della piena libertà di movimento, vedersi e scambiarsi un abbraccio è diventato qualcosa di eccezionale… Sono tutte modificazioni che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle ma, più che di cambiamenti, è corretto parlare di perturbazioni, dal momento che ci siamo trovati in balia degli eventi e obbligati ad adattarci a una situazione nella quale non sapevamo come muoverci. Ma proviamo ora a esplicitare alcune delle perturbazioni che hanno investito la nostra “vecchia” normalità.

Come già accennato, per prima cosa abbiamo dovuto fare i conti con la caduta della nostra illusione di controllo, pretesa occidentale nata con l’illuminismo e il positivismo che, tramite il progresso della tecnica, mirano ad aumentare sempre di più le capacità di controllare i fenomeni. La pandemia ci ha fatto sperimentare la precarietà del nostro stare al mondo, dove quello che credavamo scontato, si è rivelato imprevedibile e sconosciuto: la nostra reazione è stata lo spaesamento. Ci siamo trovati in un territorio sconosciuto, privi di mappe per interpretarlo e per guidare le nostre azioni; le indicazioni che avevamo, fondate sulla conoscenza del passato – il mondo com’era – non ci sono state più d’aiuto. Per far fronte allo spaesamento, non più confortati da narrazioni religiose, abbiamo posto la nostra fiducia nella scienza, per poi restare delusi quando ci siamo accorti che essa non poteva fornirci risposte preconfezionate, ma avrebbe avuto bisogno di tempo e mezzi per giungere a un consenso sulle domande che la pandemia le aveva posto. Ci siamo – ahimè, ma forse anche per fortuna – ritrovati a constatare che la cosa più saggia da fare era ammettere di non sapere.

“Ci siamo – ahimè, ma forse anche per fortuna – ritrovati a constatare che la cosa più saggia da fare era ammettere di non sapere.”

Una seconda perturbazione che ha colpito la nostra quotidianità ha riguardato il nostro modo di abitare lo spazio nella quotidianità, privati della possibilità di movimento e a lungo rinchiusi nelle nostre case. È interessante analizzare come i significati attribuiti alla casa siano stati in breve tempo sostituiti da altri che ci erano sconosciuti; proviamo a sviscerarne qualcuno. Quella che era casa nostra, quindi il luogo affidabile e sicuro per eccellenza, si è rivelato anch’esso estraneo, non più “casa nostra”, ma un luogo di reclusione, perché non era più possibile lasciarlo quando sentivamo che non aveva più niente da darci. Ci siamo trovati ad abitare un luogo usuale in un modo inusuale, che l’ha privato del sentimento di familiarità che lo contraddistingueva. La funzione di riparo e protezione della nostra abitazione è stata portata all’estremo, permettendoci di difenderci da un pericolo mortale invisibile esterno, ma, per troppe persone, è anche diventata la gabbia da dove non è stato possibile fuggire a violenze e solitudini (pensiamo al drammatico aumento di violenze domestiche, del rischio suicidario, dell’uso di psicofarmaci…). Inoltre, la vita in casa ci ha costretto a vivere a lungo nella nostra posizione solipsistica, che ha aperto le porte alla solitudine e all’angoscia. Ecco il ribaltamento della situazione: il desiderio di “rincasare nel mondo esterno”.

Un ulteriore drammatico aspetto delle nostre vite che è stato sconvolto dalla pandemia è stato quello del morire. La morte, infatti, ha fatto irruzione nelle nostre case e nelle nostre vite. Accanto a chi l’ha sperimentata presso a sé, ci sono tante persone che hanno giornalmente atteso con angoscia i bollettini quotidiani. Qui, abbiamo assistito a una perturbazione che ha agito principalmente in due direzioni. In primis, la pandemia da Covid-19 ha riportato alla luce la nostra finitudine. Pur sapendo che prima o poi dovremo morire, come affermano gli studi della “Terror Management Theory” (TMT), la consapevolezza della nostra finitudine viene negata e occultata tramite la costruzione di simbolismi (pensiamo a quelli religiosi…). Secondo questi studiosi, la rimozione di questa consapevolezza ha raggiunto le forme più evidenti proprio nell’occidente e, insieme alla mancanza di educazione su cosa significhi morire, ha reso difficile trovare il linguaggio per dare parola alle emozioni che la accompagnano. In secondo luogo, abbiamo assistito all’impossibilità di accompagnare i nostri cari nell’ultimo passo della vita e di celebrare i riti di commiato e sepoltura, fondamentali per poter elaborare la perdita. Questo ha portato molti a vivere la drammatica esperienza della perdita di “chi è stato visto uscire e mai più visto rientrare”; si tratta di “scomparsi” che non hanno potuto ricevere la vicinanza e un ultimo saluto dai propri cari, di più, non sono più stati visti. Utilizziamo le parole di Ines Testoni per descrivere il sentimento di forzata distanza nel momento della separazione: “il non poter accompagnare il proprio caro nella malattia, […] ha reso l’intimità familiare un rifugio all’interno del quale il focolare ha perso qualsiasi sembianza del calore rassicurante”.

Un ultimo punto su cui vogliamo riflettere è quello del futuro, o meglio, dei futuri. In questa sede, preferiamo utilizzare il plurale dal momento che i futuri che ci si pongono davanti, oggi più che mai, non sono solo uno, ma tanti: futuri probabili e improbabili, desiderabili o meno… Quello che è certo è, come dicevamo all’inizio, che “non sappiamo”; non sappiamo se il mondo continuerà a girare nello stesso modo in cui girava prima della pandemia, non sappiamo se le nostre abitudini riassumeranno le stesse fattezze del passato, non sappiamo se sapremo prenderci cura di chi in questo periodo è caduto nella disperazione o si è trovato in grave difficoltà, così come non sappiamo se le consapevolezze che l’emergenza ci ha portato sapranno farci intraprendere strade nuove o diverse. 
Come ripartire dopo il volo del cigno nero?” è la domanda che ci preme in questo momento. Non c’è una risposta pronta, non abbiamo mappe per orientarci, non ci sono strade precostituite, tocca a noi costruirne di nuove per interpretare la realtà che ci si pone d’innanzi e costruire le strade verso i possibili futuri. L’intento di fornirvi alcune chiavi di lettura del presente è nato dal desiderio di iniziare a pensare noi questi futuri, perché, se non lo facciamo, il rischio è quello che qualcun altro lo faccia per noi!

“Non c’è una risposta pronta, non abbiamo mappe per orientarci, non ci sono strade precostituite, tocca a noi costruirne di nuove per interpretare la realtà che ci si pone d’innanzi e costruire le strade verso i possibili futuri.”

FONTI

Bormolini, G., Manera, S., Testoni, I. (2020). Morire durante la pandemia. Nuove “normalità” e antiche incertezze. Edizioni Messaggero Padova.

Credits: Photo by Pawel Czerwinski on Unsplash


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