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Vasilij Grossman, un grande scrittore europeo di lingua russa

Tempo di lettura: 17 minuti

Vasilij Grossman tornò a Mosca dalla guerra nel 1945, subito dopo la caduta di Berlino. In quella città era arrivato con l’Armata Rossa tra fine aprile e i primi di maggio. Lavorava per il giornale dell’esercito, Stella Rossa. Negli ultimi quattro anni era stato un giornalista al fronte. Si era arruolato immediatamente all’inizio della guerra il 22 giugno 1941. Aveva trentasei anni, era uno scrittore già noto. Alla scrittura era arrivato dopo aver lasciato il mestiere di chimico che aveva svolto per qualche anno nelle miniere del Donbass.

Ucraino, ebreo, russo, europeo

Vasilij Grossman era nato nel 1905, il 12 dicembre, in Ucraina a Berdičev, una città a ovest di Kiev, circa 180 chilometri, dove su 60.000 abitanti 40.000 circa erano ebrei e dunque l’yiddish era lingua assai diffusa. Ma già i genitori di Grossman, ucraini ed ebrei, scelsero di essere russi, parlavano e leggevano in russo, la mamma parlava francese, il papà tedesco perché aveva studiato all’università di Berna. E si capisce anche perché vollero essere russi: in un mondo fortemente antisemita, la rivoluzione riconosce agli ebrei i diritti di ogni cittadino, permette agli ebrei di vivere fuori dagli shtetl, permette loro una vita in tutto simile a quella dei cristiani. Almeno in via di principio.

Così Vasilij Grossman, unico figlio di due genitori presto separati, studia a Mosca, nel 1923 si iscrive alla facoltà di chimica e si laurea nel 1929. Nel 1930 e per due anni lavora a Stalino, odierna Donek, nelle miniere del Donbass. Ben presto comincia a scrivere. La sua fortuna fu che un suo racconto sulla vita nelle miniere Gljukauf, piacque, meglio non dispiacque, a Gor’kij. Nell’aprile del 1934 la Literaturnaja Gazeta, una rivista molto importante, accettò un racconto di Grossman dal titolo Nella città di Berdičev. Il racconto fu molto apprezzato tra gli altri da Isaak Babel’, da Michail Bulgakov e da Gor’kij stesso. Sicché Grossman divenne nella seconda metà degli anni Trenta uno scrittore famoso.

Opera di Cronista

Quando scoppiò la guerra il 22 giugno 1941, Grossman fu destinato a Stella Rossa e il 5 agosto David Ortenberg, il direttore, gli diede il suo primo incarico sul fronte di Brjansk, cioè sulla direttrice centrale dell’attacco tedesco verso Mosca. A Stalingrado Grossman fu inviato dal direttore Ortenberg l’anno dopo, nell’agosto 1942. Nell’ottobre egli fu a lungo sulla riva destra del Volga, nel cuore cioè della guerriglia sovietica contro i tedeschi. Questi già da settembre avevano occupato progressivamente quasi tutta la città, dopo il bombardamento del 23 agosto, ma non riuscirono mai a bonificare del tutto le sacche di resistenza sulla riva destra, e quest’area, proprio per gli accaniti combattimenti che vi avvennero, fu la zona del fronte di gran lunga più terribile e mortale.

Ma proprio qui Grossman scrive i suoi pezzi più famosi. “Stalingrado colpisce ancora” del 20 ottobre racconta la celebre XIII Divisione della Guardia comandata dal generale  Rodimcev. “L’asse di tensione principale” è l’altro articolo così letto da essere ripreso dalla “Pravda” per ordine di Stalin. In questo articolo si racconta la divisione siberiana comandata da Gurt’ev che presidia e perde e riconquista Quota 102, Mamaeev Kourgan, la collina che sovrasta il fiume e che oggi ospita il complesso monumentale e museale della battaglia di Stalingrado.

Grossman rimane a Stalingrado fino al 3 gennaio 1943, quando viene richiamato in redazione, un mese prima della resa definitiva dei tedeschi, accerchiati dalla fine di novembre. Il ritorno al fronte nell’estate del ’43 vede Grossman a Kursk, da dove racconta la battaglia di carri che segna la fine definitiva delle fortune tedesche sul fronte orientale. E finalmente nell’autunno del 1943 Grossman rimette piede in Ucraina dove ben presto s’imbatte nello sterminio del popolo ebraico. Con l’Armata Rossa arriva a Berlino.

Rientra subito dopo a Mosca e riprende il lavoro su diversi testi. È questa la modalità di scrittura di Grossman negli anni della guerra e in quelli successivi: lavorare su più testi contemporaneamente. Anzitutto gli articoli di cronaca per Stella Rossa. Poi dalla fine del ’43 fino al 1946/47 le inchieste sullo sterminio degli ebrei nelle zone occupate. L’Armata Rossa giunge per prima nei luoghi della strage e Grossman dedica alcune importanti cronache al tema, non sempre pubblicate su Stella Rossa, che rifiuta ad esempio di pubblicare “Ucraina senza ebrei”, avvisaglia dell’antisemitismo di Stato sempre attivo anche in Urss. Alla fine del ’43 Grossman fu chiamato da Il’ja Erenburg a far parte della Commissione letteraria del CAE (Comitato Antifascista Ebraico) con lo scopo di raccogliere tutte le testimonianze sulla Shoah da pubblicare in un Libro Nero. Del ’44 è “L’assassinio degli ebrei di Berdičev”, l’inchiesta che Grossman scrisse sugli avvenimenti nella sua città natale, dove anche sua madre fu assassinata ai bordi di una fossa. Basilare infine l’inchiesta L’inferno di Treblinka, dove primo in assoluto, Grossman descrisse con precisione come funziona un lager di sterminio; il testo fu usato come documento già al processo di Norimberga nel 1946 e pubblicato in volume.

Opera di scrittore

L’intensissima attività di Grossman come giornalista non riduce il suo impegno altrettanto intenso come scrittore. Nell’estate 1942 a Čistopol durante una licenza dal fronte Grossman scrive il suo primo romanzo sulla guerra, Il popolo è immortale, (Narod bessmerten), pubblicato in luglio e agosto a puntate su “Stella Rossa”. Dal 1943 Grossman poi comincia a lavorare sul primo dei due romanzi su Stalingrado che egli pensa come due parti di un unico racconto. Stalingrado e la Shoah sono le due esperienze di guerra che hanno lasciato il segno. Nella dilogia Grossman narra la resistenza disperata ai tedeschi, e le dure condizioni di vita del popolo sovietico, e le sue ragioni di resistenza. Affronta anche il tema più inquietante: l’assassinio di massa e la sciagurata collaborazione di molti ad un’impresa così nefanda. Il romanzo di Grossman è un romanzo storico: l’ordito del racconto è fatto dagli eventi dei mesi della guerra a Stalingrado, da luglio 1942 a febbraio 1943; non mancano retrospettive sugli eventi dell’anno prima, al momento dell’attacco tedesco e sui mesi drammatici che seguirono. Su questo ordito s’innesta la trama romanzesca che coinvolge decine e decine di personaggi, storici (i generali Rodimcev, Erëmenko, Čujkov, Žukov, e Stalin e Hitler)e inventati. In un romanzo storico i personaggi storici compiono le azioni che la ricerca storica ha accertato come loro (il generale Erëmenko stabilisce il suo quartier generale a Stalingrado), o per lo meno le loro azioni non contraddicono ciò che è storicamente accertato, ma interagiscono anche con i personaggi inventati (Erëmenko incontra Novikov il comandante dei blindati), o vengono attribuite loro riflessioni e azioni che sono immaginate dall’artista sulla base di ciò che storicamente si sa. In un romanzo storico agli episodi realmente accaduti è conferito un significato più profondo, come l’episodio della difesa della stazione o del civico 6/1.

storie di resistenza e storie d’amore

Il primo episodio della guerra in città è quello della stazione, narrato in Per una giusta causa in ben dodici eccezionali capitoli (PGC, III, 36-47). Si tratta di uno dei fatti storici più drammatici della guerra tra le rovine della città su cui il romanzo innesta le gesta dei suoi personaggi, immaginando che alla stazione combattano gli uomini di Filiaškin. Tra loro insieme a molti altri si trovano Kovaliov, il giovane amico di Tolja, e Vavilov il kolchoziano. Il fatto che traspare in controluce è quello della Stazione Stalingrad-1. L’episodio, narrato nelle sue memorie da Čujkov, si svolse il 19-20-21 settembre quando i tedeschi occuparono la stazione ferroviaria, difesa dai resti del I battaglione del XLII reggimento del colonnello Elin, appartenente alla XIII Divisione della Guardia. L’attacco fu condotto con gli aerei e l’artiglieria e decimò i difensori che tuttavia combatterono senza ripiegare. Quando infine i tedeschi occuparono la stazione, i superstiti si asserragliarono in un edificio adiacente e alla fine sopravvissero in sei. Finite le munizioni, riuscirono a raggiungere il Volga e su una zattera si lasciarono trasportare dalla corrente finché furono raccolti da una batteria contraerea. Non così nel romanzo in cui i difensori della stazione periscono tutti.

Il secondo episodio della guerriglia cittadina è quello del civico 6/1, narrato in Vita e destino in più luoghi del racconto, nella prima e nella seconda parte del romanzo (VD, I, 58-61; VD, II, 17-21). Anche questo episodio lascia intravedere in trasparenza una vicenda storica, quella della “casa di Pavlov”, ma non solo. Il 6/1 si trova vicino alla fabbrica Trattori ed è raso al suolo nell’attacco tedesco, che storicamente data al 14 ottobre. Il 6/1 rappresenta così, come la stazione, tutti i luoghi della città, edifici pubblici, case, vie, piazze in cui si combatté accanitamente per ogni piano, per ogni stanza, per ogni metro. Ma c’è di più. Nel romanzo i due episodi speculari narrano anche due storie d’amore, quella del giovane tenente Kovaliov per Lena, infermiera, e quella del giovane volontario Sergej per Katia, marconista. Due storie d’amore, e di gelosia, a Stalingrado!

chiacchiere e pettegolezzi

E c’è di più ancora: nelle due vicende della stazione del 6/1 ci sono anche due storie parallele di chiacchiere, di pettegolezzi, di fulminanti battute di spirito, a Stalingrado!

Il racconto è ricco di particolari, di dettagli. Gli uomini della stazione sono colti nelle occupazioni consuete di un battaglione che si prepara alla difesa, così come gli occupanti del 6/1 nella quotidianità dello scontro coi nemici. L’attenzione è focalizzata sul loro aspetto, sugli oggetti che toccano, sulle loro chiacchiere, sulle loro preoccupazioni.

Questi uomini (e donne) sono raccontati persino con una punta di umorismo, in un romanzo che, quando affronta la guerra, è caratterizzato dallo stile “gravis”. Il lettore familiarizza con i personaggi del 6/1 attraverso lo sguardo di Katja  e Serëža, i due più giovani.

C’è un tenente con la camicia sporca, ma che pulisce sempre con una pezzuola di camoscio gli occhiali che gli scivolano continuamente dal naso, si chiama Batrakov e sta al primo piano della casa assediata col gruppo che fornisce dati all’artiglieria piazzata nell’Oltrevolga. Prima della guerra era insegnante di matematica, anzi una volta interroga un po’ Serëža, suscitando le risa degli altri: «Attento che ti tocca ripetere l’anno» (VD, I, 61).  Una volta Grekov lo sorprende durante una violentissimo attacco aereo in cima a una scala a leggere un libro. «A cosa gli serve vincere, ai tedeschi? Che se ne fanno di un idiota simile?» (VD, I, 61).

Batrakov è molto amico di Anciferov dal corpo voluminoso che sotto le bombe tedesche è guarito delle sue numerose malattie, anche se non del tutto. Sempre scalzo per via dei calli, non indossa nemmeno la camicia di ordinanza perché ha sempre caldo, si asciuga la testa lucida con un grosso fazzoletto, è solito bere il tè in una tazza coi fiorellini azzurri insieme coi suoi uomini, mentre intorno divampano spaventosi incendi. Era capomastro prima della guerra e ora studia come distruggerle al meglio, le case! Lui e Batrakov parlano di filosofia … perché siamo al mondo, … esiste un potere sovietico su altri pianeti, … da cosa si deduce che la mente dell’uomo è superiore a quella della donna …  (VD, I, 61) e così via.

Poi c’è Poljakov, caro amico di Andreev, il fonditore della fabbrica Ottobre Rosso; è partito volontario per la difesa della città e ora sta al civico 6/1 come mortaista. Poi c’è il malinconico Lampasov che da civile allevava polli e parla della perfida intelligenza delle galline. Infine c’è Ljakov,  un soldato del genio sempre accigliato che racconta a Katja la storia di una lepre che, intontita dai bombardamenti ha perso l’orientamento e gli è rimasta accanto tutto un giorno. Tra Katja e lui s’accende una discussione, se gli animali distinguano i caccia tedeschi da quelli russi e Katja, sulla base delle sue esperienze con certi cani, sostiene di sì. Arriva una cannonata ma non interrompe la conversazione tra i due. Anzi, prosegue Ljakov, la primavera precedente vicino a Svjatogorsk hanno scoperto che i merli avevano imparato ad imitare benissimo il fischio delle pallottole.

Gli uomini del 6/1 parlano tanto di Katja negli attimi di quiete, tra un combattimento e l’altro. Si accende una disputa sulle qualità che fanno di una donna una bella donna. Il tenente Batrakov si rivela molto esperto in fatto di bellezza femminile. Il vecchio Poljakov dice che la ragazza non è un gran che, piatta davanti e di dietro. Čencov dice che il criterio di Poljakov è superato, «andava bene con lo zar» (VD,I, 59). Kolomejcev dice che a lui piacciono di più le donne piccole e brune. Zubarev si chiede come finirà, cioè a chi Katja cederà. Si scommette su Grekov al quale, a nessuno è sfuggito, la marconista piace molto, e così via, pettegolando. 

È uno degli aspetti più singolari della dilogia grossmaniana quella di trovare una tonalità leggera mentre racconta momenti di tensione, di paura, di estremo pericolo: è che gli uomini, anche quando sanno di avere scarse possibilità di sopravvivere, vivono comunque, e quindi leggono sotto un bombardamento, chiacchierano delle stranezze incredibili che hanno notato nelle lepri, nei cani e nei merli, sono sensibili alla presenza di una ragazza. 

Per una giusta causa – Vita e destino: la dilogia

È così vasto il disegno concepito, che Grossman lavorò al suo progetto dal 1943 al 1960 per diciassette anni, e di romanzi ne scrisse due, strettamente connessi tra loro, organicamente pensati e sistematicamente raccordati. Scrisse una dilogia. Il primo romanzo si chiamava Stalingrado, ma Grossman dovette sostituire il titolo con Per una giusta causa (Za pravoe delo), e dopo varie vicissitudini censorie riuscì a pubblicarlo in URSS nel 1952. Il secondo romanzo è Vita e destino, sequestrato dal KGB nel 1961 e pubblicato in URSS soltanto nel 1988 dopo una lunga vicenda di occultamento, di esportazione clandestina e pubblicazione in Svizzera, a Losanna, nel 1980 dove apparve dapprima in russo e poi tradotto in francese e tedesco.

La dilogia su Stalingrado di Vasilij Grossman è un testo dalla lettura impegnativa. Anzitutto per la sua stessa mole: due romanzi suddivisi ciascuno in tre parti, pagine e pagine, un montaggio delle diverse storie, intrecciate secondo una logica che il testo stabilisce, ma che è arduo cogliere in prima lettura.

Forse la metafora migliore per descrivere la densa complessità di questo racconto è quella di immaginarlo come un grande polittico. In un polittico ogni pannello va letto idealmente in modo simultaneo con tutti gli altri, perché se ne comprende rettamente il senso solo nel nesso della parte con il tutto. L’idea del polittico è dettata anche dal fatto che gli editori europei hanno tradotto e pubblicato il secondo romanzo, cioè Vita e destino, ignorando del tutto il primo: come quando si disarticolava un polittico medievale, presentando le sue parti, predella, cimasa, cuspide,… come autonome.

Dunque in un polittico è la figura centrale a orientare tutte le storie, che intorno ad essa si organizzano in modo non lineare, ma spaziale: conta la posizione dei pannelli, a destra e a sinistra della figura centrale, sopra e sotto.

Nella dilogia di Vasilij Grossman il primo personaggio della storia è un contadino, Pëtr Semënovič Vavilov. Compare nel terzo capitolo di Per una giusta causa, prima della famiglia Šapošnikov, attorno alla quale ruotano poi i personaggi del racconto. Anche se la vicenda di Vavilov si esaurisce nel primo romanzo, egli è personaggio emblematico del racconto: è un contadino, perché alla prima metà del XX secolo la stragrande maggioranza del popolo è fatta di contadini. La loro vita è durissima: è fame e servitù sotto lo zar, è rivoluzione e guerra civile, è kolchoz cioè collettivizzazione forzata, è sempre fame fino alla grande fame dell’Ucraina raccontata da un’altra contadina, Christja Čunjak. In questo contesto l’invasione tedesca è episodio terribile di una catastrofe più vasta, la stessa Shoah è parte della più ampia tragedia delle campagne russe e ucraine, come osserva acutamente Semën Lipkin nella sua memoria dell’amico Grossman.

Benché non coltivi facili ottimismi sulla positività della nozione di “popolo”, Grossman caparbiamente narra gli individui, che pure esistono, portatori delle più alte qualità umane, di benevolenza e coraggio e pazienza;  portatori dell’aspirazione, umana anch’essa, alla libertà personale e alla giustizia sociale. Ecco perché in un polittico ideale il contadino è la figura centrale, proprio perché riassume in sé quegli individui positivi che nel racconto grossmaniano prendono le sembianze di un minatore, di un soldato, di un direttore di centrale elettrica, di una ricercatrice, di un falegname, di un fonditore, di uno scienziato, di una marconista, di una infermiera, di una dottoressa … Il polittico grossmaniano dunque racconta nel suo ideale pannello centrale la tragedia dei contadini, del popolo, e si articola in un pannello superiore sulla barbarie della Shoah, e in un pannello inferiore, un’ideale predella, che raffigura l’incendio di Stalingrado. 

A destra della figura centrale di questo polittico ideale è rappresentata la difficile ed aspra vita quotidiana di tutto il popolo sovietico: figure esemplari di operai, minatori, scienziati, madri di famiglia, giovani, vecchi, orfani … tutti, uomini e donne di ogni età, di ogni classe sociale, di ogni mestiere, alla maniera di Čechov, a rappresentare la Russia intera, nella sua varietà e molteplicità umana, da criticare, compatire, rispettare, amare e soprattutto conoscere in tutte le sue forme.  A sinistra della figura centrale prende vita il racconto del popolo al fronte: la sua resistenza accanita negli episodi di guerriglia urbana e le sue motivazioni.

Al centro del racconto di Vasilij Grossman c’è dunque il popolo in guerra e in pace, il popolo paziente e coraggioso, cosciente della propria durissima condizione e teso nella speranza di conquistare “dopo” condizioni di vita meno povere e finalmente libere. Ma al centro di questo racconto c’è anche la storia di come questa speranza andò in fumo, e nello stesso tempo si costruì una bugia, quella della “Grande Guerra Patriottica”: la memoria di Stato, oggi noi diremmo la “narrazione” di Stato, annientò o mutilò le memorie altre, che pure esistono. 

E la dilogia grossmaniana restituisce loro la voce.


FONTI

1990, Lipkine, Sémion, Le destin de Vassili Grossman, traduit du russe par Alexis Berelowitch, L’Age d’Homme, Lausanne, ISBN 9782825100233

1996, Garrard, John and Carol, The bones of Berdichev. The life and Fate of Vasily Grossman, The Free Press, New York, 1996. Tr. it. di Roberto Franzini Tibaldeo e Marta Cai, supervisione e curatela Giovanni Maddalena e Pietro Tosco, Le ossa di Berdičev. La vita e il destino di Vasilij Grossman, Marietti, Genova-Milano, 2009, ISBN 9788821194085

Tosco, Pietro, Storia del manoscritto, https://grossmanweb.eu/vasily-grossman/storia-del-manoscritto/

2020, Cremascoli, Ferdinanda, Il polittico di Vasilij Grossman. Memorie plurali e memoria di Stato, eBook ISBN 9788835372547


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La rubrica di Letteratura torna ogni ultimo sabato del mese. L’appuntamento perciò è per sabato 26 marzo con Stanislaw Lem, un grande saggista e scrittore di fantascienza, polacco (Leopoli 1921-Cracovia 2006). Studioso di psicologia e di filosofia della scienza, ebbe successo soprattutto come autore di romanzi e racconti di fantascienza. Solaris (1961), è forse il suo romanzo più celebre. Nel 1972 il regista Andrej Tarkovskij trasse dal romanzo il film omonimo, premiato al Festival di Cannes.


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