Effetto Mozart: mito sfatato?

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Nell’ultima puntata di ottobre della Rubrica del Weekend Studio Ti Studio abbiamo parlato di musica, analizzando la possibilità che questa possa aiutarci nell’apprendimento di nuove nozioni. Le conclusioni concesse dalla scienza erano piuttosto vaghe: meglio non ascoltare musica, ma se non possiamo farne a meno, conviene optare per qualche brano classico e strumentale, come sembrano indicarci alcuni studi. Il primo e più sensazionale di questi, sia per importanza che per ordine cronologico, riguarda l’Effetto Mozart, di cui parleremo nel dettaglio oggi – come promesso.

Cos’è l’effetto Mozart?

Già prima che se ne occupasse la scienza, era opinione piuttosto diffusa che la musica – soprattutto quella classica – potesse aiutarci nello svolgimento di attività intellettuali. La svolta scientifica arrivò nel 1993, quando sulla rivista Nature venne pubblicato un celebre studio di Frances Rauscher, Gordon Shaw e Katherine Ky intitolato “Music and spatial task performance”, i cui risultati mostravano un netto miglioramento nei risultati di un test del quoziente intellettivo (QI) a cui erano stati sottoposti alcuni studenti, in concomitanza  con l’ascolto di 10 minuti della Sonata in re maggiore per due pianoforti (KV 448) del celeberrimo compositore austriaco Wolfgang Amadeus Mozart. 

Due anni più tardi, con un nuovo studio pubblicato sulla rivista Neuroscience Letters, i tre studiosi vollero andare più a fondo nella questione, ricercando le cause neurofisiologiche del fenomeno: pur riportando nuovamente risultati che dimostravano un miglioramento delle capacità di ragionamento spaziale1, constatarono la mancanza di effetti duraturi a lungo termine nonché una correlazione con la ripetitività della musica, ed esclusero infine l’esistenza di effetti benefici sulla memoria anche a breve termine. 

Nonostante questo, l’Effetto Mozart stava ormai entrando di fatto nella cultura di massa. Nel 1997 venne pubblicato The Mozart Effect, il bestseller di Don Campbell, insegnante di musica statunitense, e numerosissime furono le iniziative, anche governative, che vi fecero seguito: appena l’anno successivo, il governatore della Georgia Zell Miller stanziò 105,000 dollari di fondi pubblici per far avere ad ogni neonato del suo stato un’audiocassetta con musiche di Mozart. Nel Tennessee fu addirittura approvato un disegno di legge che prevedeva finanziamenti pubblici alle scuole dell’infanzia affinché, ogni giorno, facessero ascoltare musica classica ai bambini.

Gli studi successivi

Come ben si sa, nel mondo scientifico ogni tesi può essere confermata o confutata ripetendo gli esperimenti e raccogliendo dati più o meno concordanti. Lo studio originale del 1993 aveva quantificato in 8/9 punti il miglioramento del quoziente intellettivo dei soggetti partecipanti all’esperimento. Purtroppo, nessuno studio successivo è mai riuscito a osservare simili incrementi o quantomeno qualcosa di apprezzabile e lontanamente paragonabile, e Rauscher ha sempre sostenuto che tali risultati successivi derivassero da condizioni di contorno dell’esperimento non adatte o solo in parte paragonabili a quelle delle esperienze degli anni ‘90. 

Un primo esempio è lo studio di Barbato et al. (2007), che ha confrontato le performance cognitive nello svolgimento di due test di ragionamento di un gruppo di studenti in tre diverse condizioni: ascoltando la sonata di Mozart KV 448, ascoltando un brano jazz oppure in silenzio. I risultati dei test di ragionamento e le osservazioni strumentali effettuate durante gli stessi non hanno mostrato alcuna variazione in nessuna delle tre circostanze, ad eccezione della frequenza di battito delle ciglia, che sembra aumentare in modo più marcato durante l’ascolto di Mozart: gli autori ipotizzano una correlazione con il rilascio di dopamina (l’ormone del buonumore), suggerendo approfondimenti mirati alla ricerca di risposte diversificate del sistema nervoso centrale in relazione al tipo di musica. Anche i risultati dell’indagine di Pietsching et al. (2010), tra gli altri, si conclude con la mancata conferma delle ipotesi sull’effettiva esistenza dell’Effetto Mozart, così come quelle precedenti di e Kenneth et al. (1999) e Steele et al. (1999)

Questione di coinvolgimento o gusti?

Alcune fonti hanno indicato come possibile causa dell’Effetto Mozart – così come delle mancate conferme successive – qualche specifica caratteristica della musica del compositore austriaco, o ancora più specificamente ai tratti particolari della sonata in questione, in cui si nota una certa ripetitività e l’utilizzo molto frequente di una determinata nota. Tutte queste ipotesi si inseriscono in un quadro di teorie sugli equilibri affascinanti che governano la natura, talvolta anche dimostrate, come la non casualità del Numero di Eulero, la spirale aurea, la serie di Fibonacci e così via.

Ma in questo caso sembra proprio che queste teorie non funzionino affatto. Alcuni esperimenti condotti paragonando gli effetti della musica di Mozart con quelli della musica di Bach (Hughes, 2001), Schubert o addirittura della colonna sonora di un film di Stephen King (Nantais & Schellenberg, 1999) non hanno dimostrato variazioni apprezzabili, e lo stesso vale per il jazz – se non in alcuni casi isolati che vedremo in seguito -, il pop o addirittura il silenzio. 

La domanda principale è quindi cambiata: è possibile che l’Effetto Mozart sia in realtà soltanto un “Effetto musica che mi piace”? In altre parole, è possibile che l’effetto benefico sulle facoltà cognitive sia correlato soltanto al piacere che proviamo ascoltando un brano che ci piace, richiamando in ballo la questione già affrontata della dopamina e delle risposte ormonali? In questo caso, se amiamo la musica pop, potremmo avere lo stesso effetto ascoltando un brano tra i nostri preferiti, e quindi i risultati dello studio originale del 1993 sarebbero da ricercare nei gusti musicali dei soggetti partecipanti, tra i quali – in media – probabilmente Mozart era apprezzato in maniera particolare. 

Anche in questo caso, la risposta apparentemente geniale al problema si è risolta come un banale buco nell’acqua sul versante scientifico. Nessuno studio, come quello di Jones et al. del 2006, è riuscito a dimostrare la correttezza di questa ipotesi, gettando una volta di più ombre e dubbi sulle teorie di Rauscher.

Gli esperimenti correlati

Mentre sembra che sia meglio abbandonare la speranza di potenziare le nostre facoltà cognitive grazie all’ascolto di musica classica, bisogna dire che in altri campi la ricerca ha portato alla luce effetti non indifferenti. Più di uno studio – che non staremo a menzionare per snellire un po’ la conclusione di questo articolo; li troverete comunque tra le fonti – condotto sui ratti ha dimostrato effetti positivi sulle capacità di problem solving – aggirare un ostacolo, evitare un pericolo, uscire da un labirinto – dei piccoli roditori sottoposti all’ascolto di musica classica o jazz già dalla gestazione fino ai primi mesi di vita.

Un altro campo di sperimentazione di assoluto rilievo riguarda l’utilizzo della musica classica in ambito terapeutico e riabilitativo per soggetti affetti da epilessia. In particolare, Sanfilippo (2013) ha dimostrato notevoli benefici in pazienti colpiti da Sindrome di Lennox-Gastaut: in concomitanza con l’ascolto sistematico della sonata KV 448 si sono osservati una diminuzione delle durata dello stato confusionale post-critico, un miglioramento della durata e della qualità del sonno e della vita, nonché di alcuni aspetti comportamentali dei soggetti coinvolti. 

Musica sulla strada

Vorremmo concludere lasciandovi un divertente spunto di riflessione, con una citazione diretta, curiosa e simpatica seppur poco scientifica del professor William James (2001) dell’University College di Londra – non una persona qualsiasi, autore di quasi 400 pubblicazioni scientifiche – pubblicata nel 2001 sul Journal of the Royal Society of Medicine, in risposta allo studio di Jerkins (2001). «È motivo di preoccupazione che la maggior parte della psicologia accademica ci concentri sulla cognizione piuttosto che sulle emozioni. Il professor Jerkins analizza i benefici presumibilmente positivi della musica di Mozart sull’abilità [di ragionamento] spaziale. In ogni caso non c’è dubbio che la musica civile influenzi positivamente anche le emozioni.  Così si solleva un’importante domanda irrisolta: la musica incivile influenza negativamente le nostre emozioni? Scrivo da ciclista che per 50 anni ha schivato per poco la morte per mano degli automobilisti di Londra. La mia esperienza dice che gli automobilisti (quei pochi) che ascoltano Mozart sono un gruppo più docile e sicuro di quelli che ascoltano chiassosa musica pop. […] Certa “rabbia stradale” potrebbe essere dovuta ad un’overdose di musica pop?»

1 Il ragionamento spaziale è la capacità di visualizzare schemi spaziali e manipolarli mentalmente su una sequenza ordinata di trasformazioni spaziali. Questa capacità è importante per generare e concettualizzare soluzioni a problemi a più fasi che sorgono in settori quali l’architettura, l’ingegneria, la scienza, la matematica, l’arte, i giochi e la vita di tutti i giorni. (t.ly/yOnc) Quando devi costruire una scatola di cartone, ad esempio, o pensi a come riordinare una libreria, stai banalmente svolgendo un esercizio di ragionamento spaziale.

FONTI

Barbato, G., De Padova, V., Martini, V., Paolillo, A.R., Arpaia, L., Russo, E. & Ficca, G. (2007). Effetti attivanti della musica nelle prestazioni cognitive. Il ruolo della funzione dopaminergica. Giornale italiano di psicopatologia, 13:149-154. URL: https://www.researchgate.net/profile/Giuseppe-Barbato-3/publication/289187761_Arousing_effect_of_music_and_cognitive_functions_The_role_of_dopamine/links/56b6153908aebbde1a79c4c3/Arousing-effect-of-music-and-cognitive-functions-The-role-of-dopamine.pdf

Ginga, S. (2021). Effetto Mozart: le proprietà cognitive e terapeutiche del suono. Rivistanatura.com. Pubblicato il 7 gennaio 2021, consultato il 10 novembre 2021, URL: https://rivistanatura.com/effetto-mozart-le-proprieta-cognitive-e-terapeutiche-del-suono/ 

Hughes, J.R. & James, W.H. (2001). The Mozart Effect. Journal of the Royal Society of Medicine, 94:316-317. URL: https://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1177/014107680109400631 

Intini, E. (2012). Ascoltare Mozart rende davvero più intelligenti? Focus Magazine. Pubblicato il 10 aprile 2012, consultato il 10 novembre 2021, URL: https://www.focus.it/comportamento/psicologia/ascoltare-mozart-rende-davvero-piu-intelligenti

Jeskins, J.S. (2001). The Mozart Effect. Journal of the Royal Society of Medicine, 94:170-172. URL: https://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1177/014107680109400404 

Jones, M., West, S.D. & Estell, D.B. (2006). The Mozart effect: Arousal, preference and spatial performance. Psychology of Aesthetics Creativity and the Arts, S(1):26-32. DOI: 10.1037/1931-3896.S.1.26

Kenneth, M.S., Dalla Bella, S., Peretz, I., Dunlop, T., Dawe, L.A., Humphrey, G.K., Shannon, R.A., Kirby, J.L. & Olmstead, C.G. (1999). Prelude or requiem for the ‘Mozart effect’? Nature, 400(6747):827-828. DOI: https://doi.org/10.1038/23611 

Lilienfield, S.O., Lynn, S.J., Ruscio, J., & Beyerstein, B. (2011). I grandi miti della psicologia popolare. Contro i luoghi comuni. Raffello Cortina Editore, Milano. Citato in Barazza, R. (s.d.). Academia.edu. [Book review], ISNN 2239-9615

Nantais, K.M. & Schellenberg, E.G. (1999). The Mozart effect: An artifact of preference. Psychological Science, 10(4):370–373. DOI: https://doi.org/10.1111/1467-9280.00170

Pietschnig, J., Voracek, M. & Formann A.K. (2010). Mozart effect-Shmozart effect: A meta-analysis. Intelligence, 38(3):314-323. DOI: https://doi.org/10.1016/j.intell.2010.03.001 

Rauscher, F. H., Shaw, G.L. & Ky, K.N. (1995). Listening to Mozart enhances 

spatial-temporal reasoning: towards a neurophysiological basis. Neuroscience Letters, 185(1):44-47. ISSN 0304-3940, DOI: https://doi.org/10.1016/0304-3940(94)11221-4 

Rauscher, F. H., Shaw, G.L. & Ky, K.N. (1993). Music and spatial task performance. Nature, 365:611. https://doi.org/10.1038/365611a0 

Sanfilippo, F. (2013). Studio clinico in relazione agli aspetti neurofisiologici e riabilitativi legati all’ascolto della Sonata KV 448 in pazienti con Sindrome di Lennox-Gastaut. Neuroscience.net. Pubblicato a marzo 2013, consultato il 10 novembre 2021, URL: https://www.neuroscienze.net/wp-content/uploads/2013/03/Effetto-Mozart-ed-Epilessia-Federica-Sanfilippo.pdf 

Santini, C. (2021). Conosci i benefici dell’effetto Mozart e capirai come mai ascoltare musica (ti) fa bene. Elle.com. Pubblicato l’8 maggio 2021, consultato il 10 novembre 2021, URL: https://www.elle.com/it/emozioni/psicologia/a36122379/effetto-mozart-musica-migliore/ 

Steele, K.M., Bass, K. & Crook, M.D. (1999). The mystery of the Mozart Effect: failure to replicate. Psychological Science, 10:366-369. DOI: 10.1111/1467-9280.00169

Steele, K.M. (2000). Arousal and Mood Factors in the “Mozart Effect”. Percept Mot Skills, 91(1):188-190. DOI: 10.2466/pms.2000.91.1.188

Photo by Anton Shuvalov on Unsplash

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