Riflessione sul metodo (1/2)

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Praticare o ripetere?

Dopo la breve pausa che ci siamo concessi un paio di settimane fa, durante la quale abbiamo – abbastanza velocemente – ripreso slancio per affrontare un’estate di pubblicazioni, abbiamo sentito il bisogno di rimetterci in carreggiata proponendovi una riflessione, piuttosto che un vero e proprio articolo.

Sarà il periodo, con la conclusione dell’anno scolastico, la maturità e le sessioni di esami degli studenti universitari, che ci hanno fatto ricordare da dove siamo partiti e quali sono i valori che vogliamo trasmettere. Come abbiamo già scritto diverse volte, siamo convinti che il miglior modo per apprendere sempre nuove conoscenze sia affidarsi alla passione, lasciarsi trasportare dai propri interessi e, quando necessario, trovare il modo di adattare anche le nozioni più difficili e noiose a qualche situazione della nostra vita quotidiana, in modo da sentirle più vicine, tangibili e comprensibili. Chiaramente ci sono materie o campi in cui questo risulta più facile, come accade per le materie scientifiche, nate e sviluppatesi per dare risposte all’uomo sul funzionamento di tutto ciò che ci circonda, e quindi sempre – più o meno facilmente – applicabili a situazioni comuni e, in ogni caso, più comprensibili dei teoremi e delle definizioni dei libri scolastici. La faccenda potrebbe sembrare più complicata nel momento in cui si devono affrontare ambiti della conoscenza meno “applicabili”, come ad esempio la storia, ma anche in questo caso, con un po’ di fantasia e stuzzicando gli interessi soggettivi, vi assicuriamo che è possibile ribaltare la situazione! Ma oggi, oltre che di passione e interesse, vogliamo parlarvi proprio delle applicazioni, e di quanto possa essere importante la pratica nel processo dell’apprendimento.

Partiamo da un’affermazione dolorosa per molti, ma assolutamente innegabile: ripetere e praticare non sono la stessa cosa. Quando crescono e iniziano a fare esperienza del mondo che li circonda, i bambini vivono di emulazione, replicando ciò che vedono fare agli altri e che altrimenti difficilmente potrebbero pensare autonomamente di fare. Da qui parte la triste consuetudine, diffusa soprattutto nelle scuole elementari, di far ripetere per un determinato numero di volte un certo esercizio al bambino. Pensaci: è così che hai imparato a scrivere correttamente numeri e lettere, non è vero? Riempiendo righe di quaderno di aaaaaaaaaaaaaaa, e poi bbbbbbbbbbb e così via. Chiaramente, non possiamo negare che in quella fase della crescita e dell’apprendimento questa possa essere la strategia più semplice ed efficace, ma col passare del tempo la ripetizione statica di un singolo esercizio può risultare limitante e tutt’altro che utile. Pensiamo alle odiatissime equazioni di matematica da svolgere come compito per casa, e al motto dei professori “più ne fate e meglio è”: certo, siamo d’accordo, ma svolgere esercizi a ripetizione, magari pure a casaccio – non avendo afferrato in modo chiaro la teoria e le regole che vi sono alla base – potrebbe rivelarsi più una perdita di tempo che una strategia efficace. Qui sta l’equilibrio tra teoria e pratica: conoscere la teoria a sufficienza per poter affrontare con successo la pratica e le sue variabili, oppure – viceversa – sperimentare la pratica nel modo più vario possibile per risalire a posteriori alla teoria. Questo secondo approccio potrebbe essere più dispersivo – specie quando siamo di fronte a teorie complesse – e non sempre applicabile (si pensi ad esempio alla storia, o alla filosofia), ma per chi è maggiormente predisposto alla pratica o è particolarmente insofferente alla teoria – anche solo per noia – potrebbe essere la chiave di volta dell’apprendimento. Per riassumere in poche parole:

Il pappagallo è bravissimo a ripetere, ma non ha idea di quello che dice.

A voi la riflessione.
(Continua…)

FONTI

Le fonti consultate per la realizzazione di questo articolo verranno elencate in coda all’ultimo articolo della serie “Riflessione sul metodo”.

Credits: Photo by Brett Jordan on Unsplash

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