|  | 

Le tre parole magiche dell’alimentazione

Tempo di lettura: 9 minuti

RUBRICA DEL WEEKEND FOCUS NUTRIZIONE – EPISODIO 5

Rieccoci con il nostro appuntamento mensile con Focus Nutrizione! Nella puntata del 22 aprile, in anteprima nella diretta facebook del 20 aprile, abbiamo parlato di un particolare complesso di polifenoli che può aiutarci a mantenere in salute le nostre funzioni cognitive. Per uno sguardo di più ampio respiro sul tema, vi invito a dare un’occhiata anche alla puntata precedente, quella del mese di marzo, dove abbiamo discusso di come lo stile di vita – e quindi anche l’alimentazione e la nutrizione –  possa influire sul cervello. Oggi invece parliamo sempre di benessere e alimentazione, ma faremo un ragionamento più generico su alcune parole che sentiamo spesso nominare, come fossero un motto.

Dieta sana, varia ed equilibrata. 

Sembra quasi un mantra, un detto di qualche antico saggio, o una filastrocca che suona bene e che ormai quasi tutti saprebbero concludere, in risposta ad un incipit, un po’ come si faceva tempo addietro a scuola con le poesie da imparare a memoria. 

Forse è ancora oggi più celebre il detto “colazione da re, pranzo da principe e cena da povero” (con varianti del caso, non siamo pignoli). La “dieta sana, varia ed equilibrata” invece è sicuramente qualcosa di più recente. Su due piedi, non saprei dirvi se sia nata dalla necessità di descrivere veramente in meno parole possibili la dieta ideale, o sia piuttosto un insieme di parole volte a scaricare qualche responsabilità. Con quest’ultima affermazione mi riferisco a tutti quei casi in cui, ad esempio a margine di uno studio su qualche integratore, farmaco o banale nutriente, si cala la sua assunzione ed efficacia in un contesto necessariamente già sano. Queste, però, sono divagazioni di altra natura, che hanno poco a che vedere con ciò che ci prefissiamo di fare con questa rubrica. Torniamo a noi!

La dieta varia

Non andiamo con ordine, ma partiamo dal secondo aggettivo: “varia”. Ecco: cosa vuol dire seguire una dieta varia? Personalmente credo sia il punto più semplice da spiegare nel discorso che faremo oggi. Si tratta nient’altro che di cambiare, con o senza una certa routine, i cibi che compongono la nostra dieta. Spiegato per esclusione del suo contrario: non è la tipica e leggendaria dieta del bodybuilder composta da riso e petto di pollo 13 volte a settimana. 

Iniziamo con i vegetali

Da dove possiamo partire per parlare di variabilità della dieta? Proviamo da frutta e verdura, ovvero alimenti vegetali. Di pasto in pasto, una buona regola può essere quella di cambiare il colore della verdura che abbiamo nel piatto. Questo perché, nel mondo vegetale, diversi colori spesso e volentieri sono associabili a diverse concentrazioni di micronutrienti. Ecco dunque che variare cromaticamente il contenuto vegetale del piatto ci aiuta ad assumere diversi minerali, diverse vitamine, ma anche fitonutrienti, polifenoli e così via. Da qui, dunque, abbiamo capito che proviene il frequente invito a “colorare il piatto” in modo sempre diverso e vario.

Sempre con un po’ di attenzione! Se è facile ricordare che la frutta, rispetto alla verdura, è generalmente più calorica per il suo contenuto di zuccheri, non bisogna dimenticare di distinguere tuberi e legumi, generalmente più calorici. Non tanto per paura di ingrassare, quanto piuttosto per sostituirli ad altri alimenti più o meno simili. 

Tuberi e legumi

I tuberi, come le patate, sono ricchi di amidi, pertanto sono una buona fonte di carboidrati complessi per l’uomo, mentre fungono da riserva energetica per le piante. Possiamo quindi sostituire un primo piatto – la classica pasta dell’italiano medio – con un’insalata di patate, magari accompagnata da altre verdure bollite. In questo caso avremmo nel nostro piatto carboidrati e verdure, già un ottimo compromesso. Per completare, ci possono venire in aiuto i legumi, anch’essi ricchi di amidi ma con una più consistente quota proteica. Nulla a che vedere, chiaramente, con la carne, il pesce o le uova, ma è già qualcosa. L’alimento vegetale che più si avvicina a queste fonti proteiche è la soia, che non a caso appartiene alla grande famiglia dei legumi. Il suo profilo aminoacidico (ovvero le proporzioni tra i vari aminoacidi che contiene) è piuttosto bilanciato, e l’efficacia delle proteine che contiene è solo poco minore rispetto a quella delle proteine animali. 

Un po’ di attenzione

Con i soli frutti del nostro orto, allora, potremmo costruire un piatto piuttosto bilanciato. Occhio però a non esagerare soprattutto con le patate, dato il loro elevato indice glicemico: in quantità – aumenta il carico glicemico – scatenano il classico abbiocco post-prandiale. Non dimentichiamo comunque che questa sonnolenza può dipendere anche da altri fattori, non da ultimo lo stile di vita generale e la stanchezza cronica accumulata (se ho dormito 30 ore in una settimana, sarò sicuramente già distrutto: meglio non infierire caricando amidi e scatenando picchi glicemici). Insomma, già solo partendo dalle verdure, abbiamo sconfinato nel mondo dei carboidrati e delle proteine. Ecco ancora due consigli, basati su ricette della tradizione, per usare con coscienza i prodotti dell’orto.

Pasta e patate

Sicuramente buonissima, ma la pasta e patate non è il massimo dal punto di vista nutrizionale. Un inesperto potrebbe dire: “Ma come? Pasta e verdure!” e invece, come abbiamo appena visto, sono pur sempre carboidrati + carboidrati. Poi, se l’alternativa è una vagonata di sola pasta, allora viva la pasta e patate, che avrà un po’ di micronutrienti in più grazie ai tuberi… insomma, come sempre, bisogna contestualizzare!

Pasta e fagioli

Decisamente più in alto nella classifica dei pasti completi: pasta e legumi, o meglio ancora cereali e legumi, hanno meno proteine rispetto ad altre fonti, ma sono tra loro complementari. Si parla di profilo aminoacidico, ma facciamola semplice. Immaginiamo che una fonte proteica completa abbia 10 mattoncini di 10 tipi diversi. La pasta ne avrà 6 di 5 tipi, e 2 di altri 5 tipi, e viceversa i fagioli. Accostati, questi due alimenti si completano parzialmente a vicenda, formando un piatto con 8 mattoncini di tutti i 10 tipi. Non perfetto, ma comunque molto bene!

Il pilastro dei carboidrati

Ebbene, a parte la pasta e le patate, non abbiamo ancora parlato in particolare dei carboidrati, ovvero quella categoria di nutrienti che secondo le raccomandazioni più comuni dovrebbe rappresentare circa il 55% dell’introito calorico. Non soffermiamoci inutilmente su questo numero e su considerazioni di altro tipo su eventuali diete low-carb o addirittura chetogeniche. Nella puntata odierna, vale la pena di aprire una parentesi sugli aspetti da tenere in considerazione quando dobbiamo scegliere la fonte glucidica – ovvero che contiene glucidi, carboidrati – dei nostri pasti. Si parla tanto – anche troppo e in contesti spesso sbagliati, a mio avviso – di integrale e di indice glicemico, ma raramente le persone sanno cosa sia invece il carico glicemico, e il suo effetto. È anche questo, infatti, un aspetto importante da tenere in considerazione quando si parla di picco glicemico, risposta insulinica o, più semplicemente, di sonnolenza post-prandiale. 

Il carico glicemico – invece del solito indice glicemico

Quando si sceglie cosa mangiare in pausa pranzo in una giornata lavorativa, c’è chi tende ad evitare i primi, e in particolare la pasta, temendone l’effetto abbiocco nelle ore successive. Bisogna sapere che, al di là del solo indice glicemico di un alimento, conta molto di più il quantitativo, e la percentuale di carboidrati contenuti in esso: questi sono i fattori che determinano il carico glicemico, e su cui si basa la risposta insulinica (che causa la sonnolenza). Per dirla in un altro modo, poca pasta non fa male, e tanta sì… sembra la scoperta dell’acqua calda, ma non è solo una questione di pesantezza digestiva

Un esempio 

Prendiamo in considerazione allora la banana, che ha un indice glicemico più alto della pasta. Perché se mangio 100 g di banana (1 pezzo) non accuso la sonnolenza che mi darebbero 100 g di pasta? “Perché è frutta, è più salutare!”. No. La motivazione è da ricercarsi nella percentuale di carboidrati contenuti, molto più bassa nella banana. L’equazione è semplice, anche senza numeri: per la banana, indice glicemico comunque più alto moltiplicato per una quantità di carboidrati molto più bassa porta ad un carico glicemico minore (approssimativamente, meno di 20 contro oltre 40 per i 100 g di pasta).

Il mito dell’integrale

Passiamo ora all’integrale. Di certo è un termine un po’ troppo bistrattato, specie negli ultimi tempi, una moda del marketing nata per vendere di più dando l’impressione di tutelare maggiormente la salute dei consumatori. Comunque sia, una maggiore presenza di fibre negli alimenti che mangiamo consente di rallentare la digestione e si associa spesso ad un minore indice glicemico rispetto all’analogo alimento non integrale. Non entriamo nel merito di discussioni sulla raffinazione degli alimenti, restiamo sul fatto che l’integrale è almeno un pochino meglio. Solo un piccolo suggerimento pratico: ricordate che lo zucchero grezzo di canna è pur sempre zucchero, poco cambia 😉

Con questo, per oggi ci fermiamo. Spero di aver trasferito qualche informazione utile anche oggi, o almeno di non avervi annoiato. Come sempre, vi ricordiamo che potete iscrivervi al gruppo Telegram dedicato. Sul nostro canale Telegram o con l’iscrizione alla newsletter invece rimarrete sempre aggiornati su tutte le nostre pubblicazioni.

Nutritevi bene, e ci rivediamo a maggio!

Possiamo approfondire l’argomento in privato (scrivi una mail all’indirizzo de*******************@gm***.com) o sul gruppo Telegram dedicato.

Foto di Anna Pelzer su Unsplash

Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale

Scopri di più da DeltaScience

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli via e-mail.

Articoli simili

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *