La traduzione è un ponte tra culture

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La traduzione è ponte

La traduzione è un ponte tra culture. Nella puntata di fine agosto (Il mondo della traduzione. Il significato delle parole) abbiamo fatto qualche considerazione sulle difficoltà che ogni traduzione pone. Anche un testo semplice è tale solo apparentemente, e la traduzione implica sempre una scelta: quale aspetto del testo privilegiare?

Non vuol dire che si dà una visione distorta del testo originale, ma certamente una traduzione in un’altra lingua finisce col restituire un senso dalla curvatura diversa. Eppure a dispetto delle considerazioni dell’articolo di agosto, l’attività di traduzione non è mai stata coì intensa così florida così vivace e continua come oggi. Tradurre è difficile, forse addirittura impossibile, ma si traduce lo stesso intensamente, più o meno consapevolmente.

Tutte le ricerche scientifiche sono in inglese, tutti le attività tecniche hanno documentazione inglese, e sono tradotte in inglese anche le ricerche di ogni altra disciplina. Se fossi uno studioso di Storia Medievale e volessi pubblicare i risultati delle mie ricerche sul concetto di beneficium nel Codex Teodosianus, lo scriverei in italiano e lo tradurrei in inglese per la pubblicazione magari su Academia.edu a beneficio dei miei colleghi nel mondo, che saranno magari una decina, ma certamente leggeranno il mio scritto.

La lingua è anche una visione del mondo

In un’intervista fu chiesto una volta a Pier Paolo Pasolini quale ritenesse il limite maggiore della sua poesia. “La lingua!”, rispose senza esitazione. E aggiunse con rimpianto: “se fossi uno scrittore in lingua swahili, che è la dodicesima al mondo, ed è parlata in vaste regioni dell’Africa…!” Non evocò la lingua inglese, come ci si poteva aspettare, essendo noi dotati di scarsa immaginazione. Invece nominò la lingua swahili! Perché? Forse quella lingua gli avrebbe dato un pubblico più vasto di quello italiano. Ma c’è una ragione più profonda: quella lingua è capace di cogliere qualcosa che il poeta Pasolini sente come verità, la verità del mondo com’era prima del mondo industriale, una verità difficile anche solo da intuire, ma da ricercare tenacemente, perché è ciò che il poeta vuole capire e far capire all’umanità. Ecco perché pensa all’italiano come ad una limitazione e alla lingua swahili come superamento di quel limite!

La traduzione è un ponte tra diverse (e lontane) visioni

Una lingua esprime un mondo, una cultura. La traduzione è un ponte tra culture diverse, un ponte che connette mondi anche molto lontani nello spazio e/o nel tempo. La traduzione è esercizio linguistico – e che esercizio! – ma non è solo esercizio linguistico. È anche esercizio di pazienza: ciò che è distante, ciò che è altro è difficile da capire, difficile da accettare. Ebbene la traduzione è etica della comprensione. La traduzione è l’opposto del “politicamente corretto” che va di moda oggi.

Tradurre è capire bene il testo, non necessariamente approvare quanto dice.

Vi farò un esempio letterario, legato alla lingua greca antica di cui ho esperienza fin dai giorni in cui ero alunna del liceo classico. (Non posso farvi esempi di traduzione dalla lingua swahili, perché mi è ignota; né posso fare altri esempi dalle lingue asiatiche, per lo stesso motivo). Andrò dunque non, lontano nello spazio, ma lontano nel tempo. Cercherò di farvi capire che carogna è Odisseo verso sua moglie Penelope. Cercherò anche di dirvi perché non ho mai bandito il poema di Omero dalle mie letture, perché continuo a leggerlo e ad amarlo, non malgrado il suo maschilismo, ma proprio perché il maschilismo lo racconta. E non è mai inutile capire bene.

Ulisse, Tiresia, Agamennone

Dunque, sapete tutti che Odisseo (Ulisse alla latina) arriva finalmente a Itaca dopo il suo lungo e doloroso viaggio di ritorno da Troia distrutta. È solo. Tutti i suoi compagni sono morti. Ha perduto tutto il bottino di guerra. È molto cauto quando mette piede sulla sua isola, perché, unico tra gli uomini, è sceso nel mondo dei morti, dove Tiresia, il veggente, gli ha preannunciato un ritorno drammatico alla sua casa. Da anni infatti Itaca non ha più un re, e molti giovani principi, considerando Odisseo morto, aspirano al titolo, sposandone la vedova. Occupano permanentemente la sua casa, molestano tutti quelli che in casa vivono: le ancelle, Penelope stessa, e Telemaco, figlio suo e di Odisseo, e Laerte, il padre di Odisseo. Tiresia racconta queste cose per mettere in guardia l’eroe che lo interroga. Molto emozionato è poi l’incontro con l’ombra di Agamennone, assassinato al suo ritorno da sua moglie Clitennestra che nel frattempo si è presa un altro uomo. Dice Agamennone a Odisseo:

Dunque anche tu con la donna non esser mai dolce
non confidarle ogni parola che sai
ma di’ una cosa e lascia un’altra nascosta.

Odissea XI, 441-443

Tralascerò di commentare i motivi di Clitennestra che vendica la morte della figlia Ifigenia sacrificata da Agamennone suo padre, per aver vento favorevole alla flotta in partenza per la guerra di Troia.

Che carogna Odisseo con sua moglie

Quando dunque Odisseo arriva a Itaca, memore dell’avvertimento venutogli dai morti, non scende nel porto principale, ma in un luogo della costa molto più appartato. Non va a casa sua, ma a quella del porcaio Eumeo. A questa casa giunge nella notte anche Telemaco, il figlio di Ulisse che viene da Sparta, dove è andato a cercar notizie di suo padre ed è appena sfuggito ad un attentato perpetrato dai pretendenti di sua madre. Quando Odisseo è partito per Troia, vent’anni prima, Telemaco era appena nato. Quindi né Telemaco conosce Odisseo, né Odisseo conosce lui. Ma a questo giovane mai visto prima, Odisseo si rivela, e proibisce che altri, cioè anche Penelope, vengano a sapere del suo ritorno.

Nessuno sappia che Odisseo è dentro casa
nemmeno Laerte lo sappia, nemmeno il porcaio,
nessuno dei servi e neppure Penelope:
ma soli, tu e io, proviamo la fedeltà delle donne,
e ciascuno dei servi mettiamo alla prova
,.

Odissea, XVI 301-305

C’è una scena che si svolge nella casa di Odisseo la notte prima della vendetta. Penelope sa che è arrivato un mendicante, vorrebbe incontrarlo, come ha fatto sempre nel corso degli anni, interrogando chiunque potesse darle notizie di suo marito. Si comporta con il decoro che in genere è socialmente richiesto alle donne. Non si presenta al mendicante senza essere annunciata dalla sua fida Euriclea, la balia di Odisseo, e ora sua personale fantesca. Seduta di fronte al mendicante nella sala finalmente deserta e in penombra Penelope piange nel rievocare la durezza degli ultimi anni. Ma lui è implacabile, freddo e bugiardo. Il giorno dopo Odisseo mette in atto il piano concordato con Telemaco e ha la sua vendetta. Solo quando tutto è finito Odisseo si manifesta a Penelope. Anche la regina gusta allora una sua vendetta personale e sottile, perché dice di non riconoscerlo e gli tende una tranello. Solo Odisseo può capire che è un inganno, e infatti la sua replica svela a Penelope la sua autentica identità.

Maschilismo

Vi ho raccontato questa storia perché mi consente di farvi capire quant’è offensivo Odisseo verso sua moglie. Non esita a svelare se stesso e i suoi piani a Telemaco, e si nasconde invece a sua moglie! Non si fida di lei!

Eppure la sua sfiducia è ingiustificata. Sono i versi di Omero a dirlo. Proprio nel colloquio notturno che precede il giorno della vendetta, Penelope gli racconta come stia resistendo da anni ormai alle insidie sempre più prepotenti degli uomini che vogliono sposarla, mentre lei non vuole sposare nessuno. Gli racconta l’inganno della tela che l’ha protetta per un bel po’, finché non è stato scoperto per la spiata di una delle ancelle. Penelope piange nel rievocare le prepotenze subite. Ma Odisseo non muta atteggiamento, e anzi le racconta una sacco di bugie. Anche con Euriclea la vecchia balia è minaccioso. Lei lo riconosce mentre gli sta lavando i piedi e nota una cicatrice, sta per rivelare l’identità del mendicante a Penelope, ma lui le intima autoritario di tacere. Fino alla fine non si fida.

E che dire di Telemaco? Anche il suo comportamento per noi è inaccettabile. Telemaco dovrebbe sapere bene che angherie Penelope stia sopportando da molto tempo! Invece sembra non esserne cosciente, come non vivesse nella stessa casa di sua madre.

Dice a suo padre, che ancora non gli si è rivelato:
Lei non rifiuta le nozze odiose, e nemmeno ha coraggio
di compierle…

Odissea, XVI, 126-127

La situazione che sua madre vive, la prepotenza che subisce non è percepita dal giovane Telemaco: sarà che è giovane o che è tardo di comprendonio? o è impedito proprio dalla sua mentalità maschilista che diffida delle donne.

Dinamica dei testi: l’originale e la traduzione

Ho amato molto l’Odissea di Omero. La leggo da quando ero al liceo e cercavo di comprenderne la logica. Lettura dopo lettura emergeva per me un’Odissea rivelatrice: il conflitto delle mentalità disegna per il presente una prospettiva più ampia.

Il nostro modo di pensare, i nostri valori non esistono da sempre, ma sono il prodotto di una lunga e complessa vicenda, di cui l’Odissea è l’avvio e il nostro pensiero la fase attuale. Lettura dopo lettura emergeva così che la pari dignità di uomini e donne è in fondo un’idea assai singolare, molto recente, molto originale e poco diffusa geograficamente. È un pensiero, anzi un valore, coltivato nella cultura occidentale.

Le nostre leggi registrano la fine del maschilismo, il sorgere di una mentalità diversa. Ma sono ovunque, in Occidente, leggi molto recenti. Solo per fare qualche esempio, in Italia il diritto di famiglia che sancisce la pari dignità dei coniugi è del 1975, l’abolizione del delitto d’onore è del 1981! e sono passati altri cinquant’anni per sentire finalmente la giusta indignazione per le molestie e le violenze contro le donne. La mentalità della prevaricazione dei maschi sulle femmine non è morta né presso di noi, dove almeno è discussa, né altrove, dove alle donne è imposta una dura segregazione.

Tradurre Omero, dunque, evitando l’equivoco dell’ “attualizzazione”, tradurlo per quello che è (ed è molto, ed è sempre straordinario), tradurlo è esercizio di comprensione, e contemporaneamente è anche scoperta di noi stessi, della nostra originalità, maturata in una lunga vicenda di mille sofferenze femminili, che accumulate e stratificate una sull’altra rivendicano oggi il loro diritto ad essere riconosciute.

FONTI

AA.VV. La teoria della traduzione nella storia. Bompiani. Edizione del Kindle.

Elena Crocicchia, Tradurre è tradire? Convergenze e divergenze fra le teorie traduttive di Benedetto Croce e Italo Calvino, in Treccani Magazine, Il chiasmo, 28 marzo 2022

George Mounin, Teoria e storia della traduzione, Einaudi Torino, 1965

Omero, Odissea, tr. it Rosa Calzecchi Onesti, prefazione di Fausto Codino, Einaudi, Torino

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