Perché il cielo è blu? – Cap. 1: L’apparenza inganna

Tempo di lettura: 6 minuti

Iniziamo riformulando subito la domanda del titolo: perché vediamo il cielo blu? Infatti il cielo non è blu: il colore che percepiamo è semplicemente il risultato di fenomeni ottici, che ovviamente la fisica sa spiegare molto bene, in particolare con il concetto di scattering, o diffusione. Sarà questo l’argomento delle prossime righe! Non dobbiamo dimenticare inoltre che allo scattering si somma ovviamente anche la capacità dell’occhio umano di percepire determinati colori: sappiamo bene che non tutti gli occhi del regno animale vedono allo stesso modo. Ma questa è un’altra storia…

Il cielo è nero, come lo spazio

Partiamo dalla dimostrazione empirica della prima cosa che abbiamo detto in apertura: il cielo non è blu. Ebbene, con la parola cielo noi normalmente indichiamo quel qualcosa di non ben definito che sta sopra la nostra testa, sopra i tetti delle nostre case e sopra tutto ciò che c’è sulla Terra. 

Asterix, Obelix e tutta quella allegra compagnia di galli frutto delle fantasiose menti di René Goscinny e Albert Uderzo temevano che il cielo dovesse cadere loro in testa come segno dell’ira degli dei. Ad oggi fortunatamente sappiamo che non è così, o quantomeno anche se qualcosa potrebbe comunque caderci in testa, di certo non sarà il cielo intero. 

Quindi, questo immenso spazio vuoto con qualche briciolina solida qua e là, che colore potrà mai avere? Ci aiutano le fotografie scattate là fuori negli ultimi decenni: lo spazio è banalmente nero.

Il cielo quindi è banalmente ciò che appare ai nostri occhi di tutto lo sterminato spazio che ci circonda, da qui ai confini dell’universo. Cielo è il nome che abbiamo dato allo spazio per come ci appare dalla Terra. Di cosa è fatto? Beh, per la quasi totalità del suo volume lo spazio è vuoto! Qua e là, sparpagliati a distanze enormi, troviamo corpi celesti di vario tipo: stelle, pianeti, satelliti, comete, asteroidi, meteoroidi… 

Foto di NASA su Unsplash

Perché proprio il nero?

Facciamo un passo indietro, perché occorre ricordare come e perché vediamo i colori. Affinché il nostro occhio (ben funzionante) possa percepire un colore, abbiamo bisogno di un attore fondamentale: una sorgente luminosa che emetta luce, che a sua volta è una radiazione elettromagnetica. La sorgente luminosa può essere ad esempio una lampadina in una stanza altrimenti buia, dove non vedremmo niente, o più semplicemente il sole che illumina le nostre giornate (anche quando il cielo è nuvoloso eh!). 

La luce emessa dalla sorgente luminosa, colpisce l’oggetto che stiamo osservando e viene riflessa in tutte le direzioni (fino al nostro occhio) in modo diverso per ogni colore. Attenzione: queste ultime parole non significano che colori diversi vengono deviati in direzioni diverse. Nel caso della rifrazione in realtà è proprio ciò che avviene, ma non è il caso di aprire anche questo discorso. Ciò su cui dobbiamo concentrarci ora è invece un fatto quantitativo, piuttosto che qualitativo. 

Più precisamente, dobbiamo immaginare la luce come un insieme di raggi di tutti i colori: il colore che attribuiamo ad un oggetto è composto dai raggi di quel colore che vengono riflessi. Tutti gli altri raggi di altri colori vengono invece assorbiti dall’oggetto. Quindi stiamo considerando brutalmente due opzioni opposte: colore riflesso e colore assorbito. Riflessione sì o riflessione no. 

Può anche accadere che i raggi – i colori – riflessi siano più di uno, e così il nostro occhio percepirà un insieme omogeneo di quei colori.

Foto di History in HD su Unsplash

Possiamo concludere che il colore che attribuiamo ad un oggetto è esattamente il colore che in realtà quell’oggetto riflette, cioè tutta quella parte di radiazione elettromagnetica che non accetta e fa rimbalzare via.

Quindi tutto ciò che possiamo vedere è riconducibile a due soli gruppi: sorgenti luminose e oggetti che riflettono la luce emessa dalle prime. Osservando il cielo, quindi vedremo le sorgenti luminose che sono le stelle (Sole compreso). Tutti gli altri oggetti non brilleranno di luce propria ma rifletteranno quella delle stelle stesse. Il più lampante degli esempi è la romanticissima Luna, che nelle sue giornate migliori riesce addirittura a rischiarare i nostri passi notturni agendo come uno specchio spaziale giocando a ping pong con i raggi del Sole.  

Il suo colore prossimo al bianco indica che riflette quasi tutti i colori. Infatti, la somma della totalità dei raggi di tutte le lunghezze d’onda – cioè di tutti i colori – origina la luce bianca. Al contrario, un oggetto nero assorbe tutti i colori, quindi il nero è banalmente assenza di riflessione (o di luce, ma non è il caso di nostro interesse). Inizia a tornare il ragionamento?

Possiamo concludere che se vediamo del nero, o siamo davanti ad un oggetto che assorbe tutti i colori oppure… non c’è nessun oggetto. E se lo spazio è (quasi) totalmente vuoto, cosa potremmo aspettarci di vedere se non il nero? Al massimo qualche stellina qua e là…

Ebbene, abbiamo capito perché lo spazio è effettivamente nero, come vediamo anche dalle foto che immortalano i pochi fortunati astronauti che fino ad oggi hanno messo piede sulla Luna.

Ma… un momento… e allora ci risiamo! Perché se guardo dalla finestra vedo il cielo blu?

Beh, dopo tutta questa spiegazione dovremmo ipotizzare che ci sia qualcosa sospeso lì, a mezz’aria, poco sopra le nostre teste, che riflette la luce solare in modo da farci vedere quel particolare colore. EUREKA! 

“Ragionateci sopra”, ne riparliamo tra qualche settimana!

FONTI
Le fonti consultate per la stesura di questo articolo sono riportate in coda all’ultima parte della serie di quattro pubblicazioni. 

Crediti: Foto di wang binghua da Unsplash

Licenza Creative Commons
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